Roberto Vecchioni: "Il mio ottimismo ribelle e romantico"/ FOTO

Il suo ultimo album, “L’infinito”, è un atto d’amore per la parola e la cultura

Roberto Vecchioni nella nostra redazione

Roberto Vecchioni nella nostra redazione

di ANDREA SPINELLI

– MILANO –

«UN GIRO ILLUSTRATIVO, perlustrativo, delle coscienze italiane, a cercare le rarità di rappresentanza che esistono ancora in mezzo a questo caos infinito che è la cultura… che non esiste più». Parlando ieri nella diretta Facebook in redazione al Giorno dei concerti con cui a primavera porta nei teatri le storie del nuovissimo album “L’infinito”, Roberto Vecchioni ha subito rivendicato le sue specificità di padre nobile della canzone d’autore. Così come la scelta di dare alle stampe un disco da «acquistare nei negozi» rifiutando il consumo liquido e distratto dello streaming. «È una ribellione, un atto ideologico, ma pure un romanticismo, forse un atto a perdere, ma che mi fa sentire tranquillo e sereno con la coscienza», ha spiegato il Professore, in concerto il 5 aprile al Creberg di Bergamo e il 15 maggio agli Arcimboldi di Milano. «Perché l’album è un oggetto culturale, quindi prezioso, che non può essere spezzettato, tagliato, messo un po’ qua e un po’ là. Ma va toccato, odorato, ascoltato su un lettore o su un giradischi. Sono felice di questa scelta».

Lo ha definito un album «ottimista» e «di resistenza».

«Abbiamo dentro di noi tante di quelle bellezze che prima o poi verranno fuori. La vita regala, infatti rivincite, che però non cadono dal cielo, bisogna andarsele a cercare col pensiero, con le idee, con la lotta, con la cultura, che rimane fondamentale, e con il continuo contatto con i giovani a cui bisogna spiegare che non si parla per emoji ma dicendo cose. Perché le “cose” sono pensiero che si sviluppa. E l’amore non è fatto di segnetti, ma di lunghe frasi piene di dolcezze, di malignità e di dolore. E queste sono cose non possono morire».

Quarantasette anni dopo, in cosa s’è trasformato il pessimismo di “Parabola”.

«Credo che da giovani si è sempre un po’ pessimisti. Da ragazzi si vede tantissimo il male e pochissimo il bene. Per questo si è rivoluzionari, almeno di pensiero. Chi da giovane non è rivoluzionario, ha sbagliato strada. Crescendo s’impara».

Prima il testo?

«Dei cantautori si guardano sempre le parole e quasi mai la musica. Invece alcuni, Dalla ad esempio, hanno scritto musiche straordinarie. Si parla poco pure dell’interpretazione, caratteristica, invece, dominante nella canzone d’autore. L’interpretazione sfugge alla retorica e si adatta perfettamente al sentimento che stai esprimendo, basta pensare a Modugno e a “Nel blu dipinto di blu”. Proprio per sottolineare al massimo l’interpretazione, questo mio ultimo disco è stato prima cantato sul metronomo e poi musicato».

In “T’insegnerò a volare (Alex)” c’è Guccini.

«Di poche canzoni, in vita mia, sono stato convinto come di questa. M’è accaduto con “Samarcanda”, con “Voglio una donna” e con “Chiamami ancora amore”, il pezzo di Sanremo. Questa è, quindi, la quarta volta. “L’infinito” e “Parola” sono due dei brani più belli che abbia mai scritto, ma “T’insegnerò a volare (Alex)” ha qualcosa di saldo e non retorico che la rende speciale. E Francesco l’ha capito. Ha scelto la strofa di Itaca perché è di Konstantinos Kavafis, che era la terza del testo; così, per non farlo arrivare troppo tardi, ho dovuto metterla per seconda. Nel disco parlo di persone che, secondo me, sono grandi perché hanno superato il destino; e Alex Zanardi, cui dedico il pezzo, è una di queste».

Nel romanzo “La vita che si ama”, uscito due anni fa, dice che “Non si è felici nell’imperturbabilità, ma nell’attraversamento del vento e della tempesta”. Nella sua vita quali sono stati i momenti di vento e tempesta più forti? «Perdere un amico, ogni volta è una mazzata tremenda. Quasi più che la perdita di un amore. Tu puoi amare una donna senza essere ricambiato, mentre l’amicizia è un sentimento reciproco. Altre tempeste, per me, sono l’incomprensione, la violenza e quel tipo d’ignoranza davanti a cui ti ritrovi inerme perché capisci di non avere termini per cambiarla. Gli ignoranti volontari, sono gli esseri più orribili della terra».

Ci sono canzoni in cui non si ritrova più?

«Beh, cose giovanili come “Lui se n’è andato” o “Speranza” oggi mi sembrano fuori tempo, ma anche “Ippopotami” potevo farla meglio, più veloce e più accattivante, perché era una grande metafora sulla corruzione politica, ma non è venuta come volevo. Diciamo, però, che dall’album ‘Sogna ragazzo sogna” in avanti non cancellerei niente, perché ogni volta che ho avuto dubbi su una canzone l’ho accantonata e sono passato ad altro».

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