Mauro Ottolini, il nuovo album: "Il mio Mangiadischi fra jazz e anni Sessanta"

Mauro Ottolini con l’album di rivisitazioni sbarca al Blue Note: "Sono sempre stato uno sperimentatore ma non rinuncio al cantautorato"

Mauro Ottolini

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È polvere anni Sessanta posata sulle suggestioni in bianco e nero di un vecchio televisore a valvole quella sollevata da “Il mangiadischi“, l’album di rivisitazioni in bilico tra Natalino Otto e Pérez Prado che il trombonista-cantante Mauro Ottolini presenta giovedì sera al Blue Note con la complicità della sua Orchestra Ottovolante. "Sono sempre stato un jazzista sperimentatore che non rinuncia a confrontarsi col cantautorato, come dimostrano i dieci anni di lavoro con Capossela o le esperienze più recenti con Brunori Sas e Davide Van De Sfroos", spiega Ottolini. "Ora sto lavorando al disco orchestrale di Riccardo Fogli e ho arrangiato un paio di pezzi nell’ultimo album di Marco Mengoni. Lo scorso anno ho pure arrangiato ‘E allora felicità’, medley proposto a Sanremo da Fedez e Francesca Michielin nella serata riservata alle cover unendo fra loro canzoni di Calcutta, Silvestri, Albano e Romina, Jalisse, Baldi e Alotta; gli ho chiesto ‘vi dispiace se reinvento tutto in chiave balcanica?’ e loro mi hanno dato il via libera".

Perché una raccolta di canzoni anni Quaranta-Sessanta come "Il mangiadischi"? "Ho sempre avuto una grande passione per la musica italiana di quegli anni, perché popolata da artisti che hanno apportato delle piccole grandi rivoluzioni; basta pensare allo swing di Natalino Otto o Fred Buscaglione. La prima orchestra ad andare in Rai fu quella del re del mambo Xavier Cugat. Poi venne quella di Gorni Kramer. Lui era di Rivarolo Mantovano mentre io sono di Peschiera del Garda… e ho pure studiato con un suo orchestrale, Mario Pezzotta".

Fra i 21 pezzi del disco ce n’è uno per cui ha un debole? "Sì, ‘Nebbia’, canzone romanticissima scritta dalla coppia Ferdinando Tettoni-Mario Vallini e cantata da Caterinetta Lescano del celebre Trio. Ha una struttura nello stile di Coleman Hawkins e non avrebbe sfigurato nel repertorio di un Ben Webster. La veste musicale è quella che gli dette Pippo Barzizza, uno dei più grandi arrangiatori della storia della musica italiana".

In repertorio ha qualche sorpresa? "Sì, la ‘Brava’ scritta da Bruno Canfora e resa celebre da Mina. La nostra cantante Vanessa Tagliabue Yorke ha la erre alla francese e così l’ha rielaborata per la sua dizione, ma l’editore ha negato l’autorizzazione a pubblicarla. Ora s’intitola ‘Cattiva’ e ha un testo che dice: ‘non lo voglio cantare, perché ho la erre moscia e non lo so fare’. Non sta nel disco, ma è una versione strepitosa che nei miei spettacoli dal vivo troverà sempre posto".

Soddisfazioni professionali?

"Tante. Quando nel 2012 pubblicai con i Sousaphonix ‘Bix factor’, album-tributo a Bix Beiderbecke e al jazz degli anni Venti, Paolo Conte mi inviò una lettera con tanto di ceralacca in cui diceva che il mio arrangiamento di ‘Lover come back to me’ è un capolavoro. Se non sono svenuto, poco c’è mancato".

Un sogno più o meno proibito? "Collaborare con Gregory Porter. Il suo ‘Nat King Cole & Me’, arrangiato dal grande Vince Mendoza, è un vero capolavoro".

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