A fianco, Piero Pelù, frontman, e Ghigo Renzulli, chitarrista; Sotto i due musicisti da giovani quando fondarono la band nel 1980

Piero Pelù e Ghigo Renzulli

Assago (Milano) - Stasera Piero Pelù e Ghigo Renzulli timbrano ad Assago l’ultimo passaporto per lo Stato Libero di Litfiba. Il Forum è, infatti, la cornice scelta dal duo fiorentino per l’ultimo concerto dell’Ultimo Girone, il tour d’addio che lo porta a riveder le stelle dopo quarant’anni di canzoni, litigi, passioni. Eroi in un vento che sa già di nostalgia. "Ma è un addio senza rimpianti" assicura Renzulli. "Frutto di una scelta forte, ma saggia e ponderata. Sorretta, tra l’altro, da una gran voglia di divertirsi. D’altronde, tutte le cose hanno una fine e noi lasciamo 13 album, qualcosa come 160 canzoni, oltre 10 milioni di dischi venduti, con la speranza che alla fine sia la musica a rimanere". Era il 6 dicembre 1980, infatti, quando la band debuttò alla Rokkoteca Brighton (per i non iniziati, la cantina della Casa del Popolo di Settignano, con un ingaggio di 150mila lire) e sul traguardo di una corsa senza respiro - come ricordato pure dalle tre protrusioni erniarie che Pelù s’è procurato a fine maggio cadendo rovinosamente sul palco dell’Alcatraz - c’è ancora Milano. "Abbiamo pensato fosse arrivato il momento di salutarci" assicura il frontman, 60 anni. "E siccome ci vogliamo bene, di farlo alla grande". Mai più assieme? Renzulli: "Mai dire mai. Magari ci ritroveremo senza il peso della band sulle spalle, come accaduto ad altri nella storia, a cominciare da Page e Plant". Pelù: "O, magari, accadrà per festeggiare i cinquant’anni della band. In fondo, ne mancano solo otto". Che peso ha avuto il vostro sodalizio? Pelù: "I Liftiba sono stati una grande scuola di musica, di vita, di dialogo, ma anche di non dialogo perché, quanto a litigi, non siamo secondi a nessuno". Com’era cominciata? Renzulli: "Negli anni Ottanta appartenevamo alla bassa manovalanza del rock, eravamo cinque ‘raccattati’ come si dice a Firenze, ma piano piano abbiamo costruito un suono, una storia, un racconto. Andammo pure all’estero e, per una serie di circostanze, negli anni Ottanta ci conoscevamo più in Francia che in Italia". Poi vi siete fatti sentire.  Pelù: "Abbiamo fatto del nostro essere scomodi la nostra storia. Siamo sempre stati, infatti, una band che non strizza l’occhio ad alcuno, sempre pronta a scalciare, a ruttare, a dirle in faccia al politico di turno. E di questa onestà andiamo fieri". Una vita contro, la vostra. Pelù: "Abbiamo fatto dell’essere scomodi la nostra storia. Buona parte dei politici con cui abbiamo avuto a che ridire è poi passata, mentre noi siamo ancora qui. Ci hanno accusati di vilipendio, d’incitazione alla diserzione, perfino il Vaticano s’è fatto sentire la volta che ad un Primo Maggio, in diretta tv, lanciai il Partito della Prevenzione infilando un preservativo sul microfono dell’incolpevole Mollica". Sogni ribelli. Pelù: "Siamo cresciuti negli anni Settanta, col club dei 27, perché allora nel rock si moriva a quell’età. Abbiamo avuto pure noi i nostri lutti, basta pensare all’addio di Ringo De Palma o a quello di Candelo Cabezas, e questa sensazione di essere un po’ dei sopravvissuti ce la portiamo ancora dietro".

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Assago (Milano) -&nbsp;Stasera Piero Pelù e Ghigo Renzulli timbrano ad Assago l’ultimo passaporto per lo Stato Libero di Litfiba. Il Forum è, infatti, la cornice scelta dal duo fiorentino per l’ultimo concerto dell’Ultimo Girone, il tour d’addio che lo porta a riveder le stelle dopo quarant’anni di canzoni, litigi, passioni. Eroi in un vento che sa già di nostalgia. "Ma è un addio senza rimpianti" assicura Renzulli. "Frutto di una scelta forte, ma saggia e ponderata. Sorretta, tra l’altro, da una gran voglia di divertirsi. D’altronde, tutte le cose hanno una fine e noi lasciamo 13 album, qualcosa come 160 canzoni, oltre 10 milioni di dischi venduti, con la speranza che alla fine sia la musica a rimanere". 
Era il 6 dicembre 1980, infatti, quando la band debuttò alla Rokkoteca Brighton (per i non iniziati, la cantina della Casa del Popolo di Settignano, con un ingaggio di 150mila lire) e sul traguardo di una corsa senza respiro - come ricordato pure dalle tre protrusioni erniarie che Pelù s’è procurato a fine maggio cadendo rovinosamente sul palco dell’Alcatraz - c’è ancora Milano. "Abbiamo pensato fosse arrivato il momento di salutarci" assicura il frontman, 60 anni. "E siccome ci vogliamo bene, di farlo alla grande". 
Mai più assieme? 
Renzulli: "Mai dire mai. Magari ci ritroveremo senza il peso della band sulle spalle, come accaduto ad altri nella storia, a cominciare da Page e Plant". 
Pelù: "O, magari, accadrà per festeggiare i cinquant’anni della band. In fondo, ne mancano solo otto". 
Che peso ha avuto il vostro sodalizio? 
Pelù: "I Liftiba sono stati una grande scuola di musica, di vita, di dialogo, ma anche di non dialogo perché, quanto a litigi, non siamo secondi a nessuno". 
Com’era cominciata? 
Renzulli: "Negli anni Ottanta appartenevamo alla bassa manovalanza del rock, eravamo cinque ‘raccattati’ come si dice a Firenze, ma piano piano abbiamo costruito un suono, una storia, un racconto. Andammo pure all’estero e, per una serie di circostanze, negli anni Ottanta ci conoscevamo più in Francia che in Italia". 
Poi vi siete fatti sentire. 
Pelù: "Abbiamo fatto del nostro essere scomodi la nostra storia. Siamo sempre stati, infatti, una band che non strizza l’occhio ad alcuno, sempre pronta a scalciare, a ruttare, a dirle in faccia al politico di turno. E di questa onestà andiamo fieri". 
Una vita contro, la vostra. 
Pelù: "Abbiamo fatto dell’essere scomodi la nostra storia. Buona parte dei politici con cui abbiamo avuto a che ridire è poi passata, mentre noi siamo ancora qui. Ci hanno accusati di vilipendio, d’incitazione alla diserzione, perfino il Vaticano s’è fatto sentire la volta che ad un Primo Maggio, in diretta tv, lanciai il Partito della Prevenzione infilando un preservativo sul microfono dell’incolpevole Mollica". 
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Pelù: "Siamo cresciuti negli anni Settanta, col club dei 27, perché allora nel rock si moriva a quell’età. Abbiamo avuto pure noi i nostri lutti, basta pensare all’addio di Ringo De Palma o a quello di Candelo Cabezas, e questa sensazione di essere un po’ dei sopravvissuti ce la portiamo ancora dietro".

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