"Io, cantautore Libero di nome e di fatto, fra rock, urban e pop"

L'artista, giovedì 25 gennaio, suonerà dal vivo alla Santeria Paladini di Milano

Il cantautore "urban pop", Libero

Il cantautore "urban pop", Libero

Milano 24 gennaio 2018 - Il rock d’oltreoceano e la forza lirica dei cantautori italiani si fondono magistralmente in un sound inedito. Stilemi metrici squisitamente rap abbracciano armoniche e melodie dall’ampio respiro. È l’impronta del tutto personale che Libero imprime alla sua musica. All’anagrafe Libero Proietto, classe 1990, è il cantautore “urban pop” genovese (milanese d’adozione) scelto come artista resident dalla Santeria Paladini di Milano, noto locale underground che ha lanciato alcuni tra gli artisti indipendenti italiani più interessanti. Giovedì 25 gennaio l’artista sarà di nuovo sul palco dove presenterà al pubblico i suoi brani ancora inediti: istantanee biografiche su un tappeto vocale graffiante. E ancora non mancheranno il singolo “Love Me Do” e il brano “Cabaret”, una riflessione sulla musica “di plastica” italiana priva di contenuto.

Come nasce la sua passione per la musica?

«Tutto nasce da un’infinità di ascolti. Mio padre suona la chitarra e la casa è sempre stata “invasa” dalla musica. Si è trattato di un approccio del tutto naturale soprattutto ascoltando i maggiori songwriter americani; in particolare adoro Bruce Springsteen che riflette al meglio l’attitudine rock delle mie sonorità. Fra i cantautori italiani che preferisco, invece, c’è sicuramente De André».

Più che un nome, “Libero”, sembra essere una dichiarazione d’intenti: fra sfumature urban, rap, pop e cantautorato la sua musica è difficilmente classificabile. Lei come la definirebbe?

«In effetti si tratta di un mix di vari elementi dietro cui non si cela alcuna ricercatezza precisa bensì un fluire naturale di sonorità. La mia musica è il frutto di innumerevoli ascolti e di tanta curiosità. Non ho mai puntato a fare cose uguali o diverse agli altri».

Tra l’altro in “Cabaret” lo dice chiaro e tondo: “Meglio povero ma libero… non cedo di un millimetro, spirito libero…”. Nelle sue canzoni lei si racconta apertamente…

«Sì, soprattutto in questi miei primi lavori. Nei testi parlo prevalentemente di me anche per presentarmi al pubblico. Da bambino pativo un po’ il fatto di avere un nome così inconsueto col tempo, invece, l’ho riscoperto scegliendolo anche come nome d’arte anche perché rispecchia perfettamente il mio approccio alla musica e alla vita».

“Se cerchi radici ti devi sporcare di fango, io ci nuoto da molto e tanto…”, canta sempre in “Cabaret”. Quali sono state le maggiori difficoltà che ha dovuto affrontare per arrivare fin qui?

«Devo ammettere che il lavoro del musicista, inizialmente, sia particolarmente frustrante: non esiste un percorso di studi preciso o una bussola che possa guidarti al raggiungimento certo dei tuoi obiettivi. Tuttavia ritengo che la stessa frustrazione sia un bagaglio importante per chi fa musica, un carico che possa avere una sua accezione positiva. In più non è facile spiegare di voler vivere di una cosa come la musica che, troppo spesso, non viene considerata come un lavoro vero e proprio».

Da Genova a Milano in nome di un sogno?

«Diciamo di sì. Ho iniziato suonando la chitarra poi a scrivere, produrre e cantare. Mi sono trasferito a Milano perché qui potevo disporre di tutti gli elementi pratici e tecnici per dedicarmi completamente alla musica. Ho studiato come tecnico del suono all’istituto Cpm (Centro Professione Musica) e qui le opportunità sono moltissime. Sotto certi aspetti Genova è una realtà provinciale e realizzare certi obiettivi sembra quasi impossibile».

Quali i pregi e i difetti di Milano?

«Sicuramente è una città ricca di creatività, idee e opportunità, non solo sul piano strettamente musicale. Milano è l’unica grande città italiana in cui sia possibile realizzare qualcosa di creativo ad altissimi livelli nonostante dia l’impressione di assorbirti completamente, in un caos troppo spesso dispersivo».

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