La ballad romantica e coraggiosa del 'cavaliere' Kay: andiamo oltre insulti e bullismo

Con il suo ultimo singolo - 'I bring love' - il cantautore rivolge un inno alla libertà

Milano, 10 dicembre 2020 – Il coraggio di provarci. E di crederci sempre. Senza compromessi. La musica di Kay Awen – all'anagrafe Mirco Horvarth – è un inno a chi, nonostante tutto, non si chiude in se stesso e continua a dare e a darsi. Un elogio all'essere sinceri e a non piegarsi ai cliché. E lo canta pure nell'ultimo singolo in uscita oggi, 'I bring love'.

Una ballad romantica e innovativa in cui “ho voluto mostrare il lato più romantico di me, l'impegno a 'portare l’amore' in qualsiasi situazione ci si trovi. Cercando di liberare il bambino custodito dentro ognuno di noi. E più questo bambino guarisce dalle ferite della vita, più si vive meglio”. In un mondo che ancora critica, giudica, isola e argina, Kay rivendica “la possibilità di fluire liberamente, andando oltre agli insulti, al bullismo e alla paura del diverso”. E così nel video di 'I bring love' c'è un'alternanza fra gli adulti incatenati dal dolore fuori e le bambine giocose dentro a risvegliare quella nostra amorevole e naturale connessione tra esseri umani”. Ecco perché, parafrasando lo scrittore per bambini Gianni Rodari, se Mirco avesse 'una botteguccia vorrei mettermi a vendere sai cosa?': “Venderei un po' di risveglio, di voglia di mettersi in discussione”. Come ha fatto e continua a fare lui stesso.

Fisioterapista di professione, dopo il nuoto agonistico e la pallavolo “la musica è stata il mio percorso di trasformazione. Un po' una terapia”. Partendo dalla musica pop che ascoltava il papà. “A un certo punto ho deciso di non voler più essere il cantante delle cover band, ma di dire la mia”. Nel segno dei suoi idoli David Bowie ed Elton John. Così ha come ripreso una sorta di diario segreto della sua vita, delle sue esperienze, mettendo in musica le sue emozioni, “con più livelli di lettura per poter arrivare a chiunque”.

A cominciare anche dal suo nome d'arte. Che non è soltanto “una roba che suona bene”. Kay è un richiamo al fratellastro di re Artù, sir Kay, che non era soltanto uno dei primi cavalieri della Tavola Rotonda, ma anche un grande sacerdote. E per cognome, lasciato quello vero di origini austro-ungariche, “ho scelto una parola semplice e al tempo stesso un simbolo del druidismo celtico, i tre raggi di luce che entrano nel bosco. L'amore, la saggezza e la verità”. Perché “la musica è il luogo della mia libertà. Senza filtri”.

 

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