Fabrizio Moro a Milano con il nuovo album: "L’importante è credere in qualcosa"

Intervista al cantautore alla vigilia del suo concerto ad Assago: i suoi 44 anni e l'appuntamento di domenica 14 aprile in piazza Duomo

Fabrizio Moro

Fabrizio Moro

Milano, 10 aprile 2019 - «La musica m’è sempre servita ad esorcizzare quello che ho dentro» assicura Fabrizio Moro. E il nuovo album “Figli di nessuno”, sul mercato da venerdì, non sembra fare eccezione. Il demone più irriducibile gliel’ha scatenato l’addio alla storica compagna Giada, madre dei due figli Libero e Anita. «La fine di un rapporto, di per sé, non è un dramma» spiega il cantautore romano, che presenterà il suo decimo album domenica (alle 18) alla Mondadori di Piazza Duomo e il 28 aprile al centro commerciale Carrefour di Limbiate. Tutto nell’attesa di sbarcare in concerto il 26 ottobre Forum di Assago. «La vita va avanti e, se tra due persone non c’è più alchimia, è giusto che si separino per cercare una rinascita. Diventa un fallimento quando in mezzo ci sono i figli».

Ne parla in “Filo d’erba”.

«L’ho scritta per Libero, perché a quasi dieci anni è ormai un bambino consapevole. Vedere riflessi nei suoi occhi gli errori che abbiamo fatto io e sua madre m’ha devastato. Sul viso gli ho lasciato rughe che mi sporcano la coscienza; da padre avrei voluto risparmiargliele, ma non ci sono riuscito. Questo è il vero fallimento».

Sorprende un po’sentire in bocca ad un cantante che ha chiamato i figli Libero e Anita una canzone come “Ho bisogno di credere”.

«L’importante nella vita è credere. Perché la fede in un’idea, in un progetto, in una canzone, nella famiglia, nei figli, in Cristo, o in Budda, ti salva. Ti fa sentire compiuto».

Una volta lei bastava a se stesso. Ora ha cambiato idea?

«Non puoi morire nel tuo egoismo. Avere figli, fare progetti, credere in un’energia superiore, aiuta ad evolverti. A quasi 44 anni mi sento una persona realizzata, felice, equilibrata, che ha ottenuto dalla vita tutto quel che voleva; quando ho iniziato sognavo di scrivere canzoni importanti, e l’ho fatto, di suonare all’Olimpico, e l’ho fatto. Quando le aspirazioni materiali finiscono, senti il bisogno di alzare lo sguardo e cercare altro».

Non cita Sanremo. Vincere il Festival non rientrava tra le aspirazioni?

«Non sono uno competitivo. Ermal Meta invece ci teneva e sono stato felice di esserci riuscito assieme a lui».

Chi sono i “figli di nessuno”?

«Quelli che per farcela hanno patito l’iradiddio. A cominciare da mio padre che dalla campagna calabrese si trasferì a Roma per aprirsi la sua officina senza soldi e senza aiuti. Figli della terra di mezzo, che si sono sempre dovuti arrangiare».

In “Arresto cardiaco” quel “come va, come va, come va” sembra citare Mahmood.

«Già, ma io quel brano l’ho scritto un anno fa. E quando ho sentito ‘Soldi’ in tv, mi sono detto: oddio, l’incedere è lo stesso».

Il suo amico Ultimo non ha preso la vittoria di Soldi al Festival con filosofia.

«Mi sono arrabbiato con lui. Niccolò ha un gran potenziale, ma è molto giovane. Vederlo sbagliare, mettere a rischio il gran talento che ha per inesperienza, e un carattere non ancora formato, mi fa stare male. In certi atteggiamenti mi ci rivedo, ma alla sua età io non avevo attorno gente che mi consigliasse. Lui sì». 

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