Ben Harper, cinquant’anni a testa alta. Doppio concerto: prima Mantova e poi Milano

A tu per tu con il cantautore americano che il 16 luglio sarà nella città virgiliana e il giorno dopo all'ippodromo di San Siro

Ben Harper

Ben Harper

Milano, 14 luglio 2019 - Palco, chitarra e skate. «Il prossimo ottobre compio cinquant’anni, ma non mi vergogno a correre sul mio skateboard in mezzo a ragazzini di sedici» ammette Ben Harper, in concerto con gli Innocent Criminals martedì a Mantova, in piazza Sordello, e il giorno dopo all’Ippodromo Snai di Milano, sul palco di quel Milano Summer Festival che gli affianca Juanes nei panni di supporter. «Sono sei o sette anni che giro il mondo con i miei tour senza fermarmi un attimo e ho bisogno di liberare la mente; lo skate è un buon mezzo perché se non hai la testa sgombra mentre ci stai sopra sei nei guai».

Di padre afro-americano e madre ebrea, Benjamin Chase Harper ha goduto di una carriera musicale compiuta e variegata, vincendo tre Grammy Awards e spaziando dai “Criminals” ai Relentless7, dai Fistful of Mercy all’amico-armonicista Charlie Musselwhite e perfino mamma Ellen grazie a quel «Childhood home» sprofondato tra i suoi ricordi d’infanzia. A differenza di diversi altri artisti, il «ragazzo» di Claremont ha anche dimostrato di non aver paura di alzare la testa per parlare di questioni sociali, in particolare di quelle riguardanti la condizione degli afro-americani negli Stati Uniti e degli abusi della polizia come accaduto durant le proteste per l’uccisione a Ferguson del diciottenne Michael Brown.

Su tutto però, ha sempre prevalso la chitarra. «Sono cresciuto in un negozio di musica ancora attivo, il Claremont Folk Music Center, vero e proprio epicentro musical-letterario delle mie zone, nel sud della California. Un posto straordinario frequentato da gente come Sonny Terry, Brownie McGhee, John Fahey, Leonard Cohen o Jackson Browne. Questa è stata la mia infanzia e i suoi influssi sulla mia educazione artistica sono evidenti a tutti». Cresciuto ascoltando Stevie Wonder, Bob Marley, Marvin Gaye e Cat Stevens, Harper ha sempre considerato la musica lingua di condivisione. «Con la tecnologia moderna in sala di registrazione è difficile essere imperfetti, ma se ascolti ‘The basement tapes» della Band od «Oh la la» dei Faces capisci quanto l’imperfezione sia importante in questo mestiere». Mai tentato dalla «hit», Harper giura di credere che la canzone perfetta sia quella che concentra l’esperienza di un libro nello spazio di tempo compreso fra 3 e 6 minuti. «C’è qualcosa nel processo creativo che, quando lo condividi con altre persone, finisce per spingerti oltre un punto che non potresti mai superare da solo» assicura parlando del rapporto con gli Innocent Criminals. «E questo tipo di confronto è fondamentale per aggiungere colori alla tela che stai dipingendo».

 

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