La Milano di Aldo Baglio: "La mia palestra di comicità"

Aldo Baglio del trio più famoso d’Italia: "L’infanzia in via Morandi i più bei anni della mia vita. E quegli show di Cochi e Renato..."

Aldo Baglio in una scena del film 'Scappo a casa'

Aldo Baglio in una scena del film 'Scappo a casa'

Milano, 24 marzo 2019 - Aldo Baglio è il 33,3% del trio comico più famoso d’Italia. È nato a Palermo ma nel capoluogo siciliano è rimasto per pochissimo: «Anche se oggi vivo a Monza, è Milano il fulcro della mia vita. La respiro da quando avevo 3 anni. Sono cresciuto e mi sono scoperto comico. È la mia città». A 60 anni Aldo, da vero artista, ha deciso di sparigliare le carte. In questi giorni è al cinema con il suo nuovo film “Scappo a Casa”, diretta da Enrico Lando, una divertente commedia «on-the-road». Per la prima volta con lui non ci sono Giovanni e Giacomo. Aldo è Michele, il classico italiano medio schiavo degli status symbol. Ma il destino ha in mente una vendetta spassosissima: quando Michele andrà a Budapest per lavoro sarà vittima di avventure impreviste destinate a stravolgere la sua vita per sempre.  

Questo film è una pietra tombale per il trio?

«Non significa rottura ma libertà. È un po’ come quando un musicista fa un disco solista. Non vuole dire che non possa più fare qualcosa con il gruppo. A me piace la sperimentazione, conoscere cose nuove. Il trio si potrà ritrovare con rinnovate energie. La pellicola è nata dalla mia esigenza di scrivere qualcosa di più personale. Sin da quando ho iniziato a parlare con Valerio Bariletti e Morgan Bertacca (che con lui hanno firmato soggetto e sceneggiatura ndr) ci siamo detti che il tema doveva essere il cambiamento. Michele, da intollerante ed egoista, trova il modo di guardare il mondo da un altro punto di vista. Il suo è un risveglio della coscienza. Anche io in questo periodo ho condotto un viaggio interiore».

Iniziamo dall’infanzia. Cosa si ricorda?

«La mia famiglia cambiava ogni due anni casa e questo mi ha permesso di scoprire Milano in lungo e in largo. Mi ricordo ancora l’abitazione di via Morandi, vicino a Rovereto. Erano gli anni ’60, le macchine erano pochine. Nel mio condominio c’erano tanti bambini con cui si giocava in strada. Quel periodo di due anni è stato forse il più felice della mia vita».

Poi crescendo…

«Milano mi ha dato stimoli senza i quali probabilmente non avrei fatto questo lavoro. Mi ricordo le esibizioni di Cochi e Renato, gli spettacoli al Ciak. A Milano ho incontrato Giovanni. Con lui ho fatto un corso di teatro. E mi sono formato in palestre eccezionali di un livello che neppure in Europa: nessun’altra città avrebbe potuto darmi tanto per la mia formazione».

Quali palestre?

«Quelli dove abbiamo costruito il nostro repertorio negli anni ‘80. Il Derby, il tempio del cabaret italiano, dove ci siamo esibiti per due anni facendo mimo e acrobazia, sullo stesso palco dove c’erano Teo Teocoli, Enzo Iacchetti, Giorgio Faletti. Il Caffè Teatro, dove facevamo improvvisazione, e lo Zelig»

Cosa faceva di giorno?

«Allora lavoravo come impiegato della Sip. Avevo lo stipendio sicuro ma non mi bastava. Così mi sono licenziato per andare incontro a qualcosa che neppure sapevo dove mi portasse. Sono stato coraggioso. O incosciente come mi diceva mia madre. Ma volevo fare qualcosa che sentivo dentro. Credo che il tempo mi abbia dato ragione. Ma non ce l’avrei fatta senza una città così ricettiva e vivace».

Cosa farebbe se diventasse sindaco?

«Non sarei popolare. Per me le macchine dovrebbero rimanere fuori città. Sogno una Milano a misura d’uomo, da vivere a piedi, in bicicletta o coi mezzi pubblici».

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro