Teatro alla Scala, scontro sull’Arabia Saudita

Ipotesi d'intesa; un accordo da 15 milioni tra il tempio della lirica e il Governo di Ryad

Il Teatro alla Scala di Milano

Il Teatro alla Scala di Milano

Milano 5 marzo 2019 -  Un affare da 15 milioni di euro sull’asse Milano-Ryad. Una montagna di soldi che aprirebbe la strada a un ingresso dell’Arabia Saudita nel tempio della lirica, nel ruolo di socio fondatore permanente.

È polemica sull’ipotesi di accordo alla quale sta lavorando da alcuni mesi il sovrintendente Alexander Pereira, scelto dal Piermarini anche per la sua abilità nel fund raising. Il fatto, però, che la possibile intesa veda come interlocutore uno Stato spesso finito nel mirino per il mancato rispetto dei diritti umani ha fatto alzato più di un sopracciglio, anche in Cda. «Più che porre una condizione – ha chiarito ieri il sindaco-presidente Giuseppe Sala – quello che io riterrei importante è che non si tratti di un finanziamento puro.Se è l’occasione per portare la Scala, le sue capacità e rinforzare l’immagine della teatro in Medioriente, ci sta. Se fosse un puro finanziamento, invece, non credo che funzionerebbe». E ancora, Sala ha sottolineato «la necessità di essere totalmente trasparenti rispetto alla provenienza dei fondi e agli obiettivi». In ogni caso, «abbiamo una riunione il 18 marzo: a quel punto, il sovrintendente, che ha gestito la partita, ci rappresenterà l’intera situazione, cioè quello che offrono e quello che chiedono, e noi decideremo. Ogni decisione è rinviata al 18 di marzo e su questo le regole sono chiare: è il Cda che decide».

Sul caso è intervenuto pure il governatore Attilio Fontana, che nel 2018 ha scelto Philippe Daverio come rappresentante della Regione alla Scala: «La collaborazione e la possibilità per la Scala di portare la propria cultura anche nei Paesi del Golfo è sicuramente positiva. Per quanto riguarda il discorso della possibilità per il governo saudita di entrare a far parte del Cda, credo che si debba valutare, esaminare, capire cosa dirà il Governo nazionale, perché su quel Governo esistono alcuni punti di domanda». Più tranchant il giudizio del senatore di Forza Italia Maurizio Gasparri, che ha già presentato un’interrogazione al ministro dei Beni culturali Alberto Bonisoli: «Bisogna dire chiaramente e a tutti i livelli “no” alla presenza dell’Arabia Saudita nel Cda di una nostra fondamentale istituzione culturale». E mentre la senatrice di Fratelli d’Italia Daniela Santanchè si chiede «se il prossimo anno andremo alla Prima tutte con il velo», prende posizione anche l’europarlamentare Pd Antonio Panzeri, che a Strasburgo presiede la Commissione diritti umani: «L’ipotesi dell’ingresso dei sauditi nel Cda della Scala è uno schiaffo alla Milano dei diritti».

Detto questo, è evidente che la questione Arabia Saudita si inserisce in un’altra partita che si sta giocando in queste settimane: la scelta del nuovo sovrintendente. Pereira non ha mai fatto mistero di puntare alla riconferma per altri cinque anni (il contratto scade nel 2020), anche se al momento l’ipotesi più probabile resta un mini-rinnovo fino al 2022 per allineare i periodi di permanenza di sovrintendente e direttore musicale. Tra qualche giorno, verrà presentata una short list con tre-quattro papabili candidati alla successione. «Dopo 15 anni di gestione in mano agli stranieri, prima un francese e oggi un austriaco, è il momento di tenerne conto», ha detto ieri all’AdnKronos il consigliere in quota Mibac Francesco Micheli. Non certo un messaggio pro-Pereira, per usare un eufemismo.

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