Milano, il sindaco Sala: 10 saggi per rilanciare il Pd

Il primo cittadino del capoluogo lombardo: pronto a dare un contributo. Renzi? Deve farsi da parte

Il sindaco Giuseppe Sala e  Matteo Renzi

Il sindaco Giuseppe Sala e Matteo Renzi

Milano, 6 maggio 2018 - «Dieci persone di esperienza» per «pensare un progetto radicalmente diverso da quello che ha portato il Pd al 18%». Il sindaco Giuseppe Sala interviene all’incontro «Ricominciamo dalle persone, da Milano e da un nuovo Pd» organizzato ieri pomeriggio dall’assessore Pierfrancesco Majorino nell’auditorium di Radio Popolare e lancia nello «sfogatoio» della sinistra dem una proposta ai vertici del partito. Certo, Sala non è iscritto al Pd e non intende iscriversi, ma è pronto a dare un suo contributo. Sì, anche a essere tra i dieci «saggi» del Pd o vicini al Pd per aiutare il reggente Maurizio Martina nel rilancio del partito nella fase post-Renzi.

Una proposta che arriva nello stesso giorno in cui il governatore del Lazio Nicola Zingaretti propone al Pd il modello Lazio (una coalizione ampia di centrosinistra) e «un’alleanza del fare» in vista delle prossime Politiche. Non è un caso. Il tandem Sala-Zingaretti – i più importanti amministratori locali del Pd o di area dem – punta ad aprire una fase post-renziana nel partito. Il sindaco di Milano, da questo punto di vista, è chiaro. Prima ironizza: «Sono da sempre contrario ai totem, che invece piacciano agli scout» (ogni riferimento allo scout Matteo Renzi è puramente voluto). Poi sottolinea: «Nessuno può ignorare il fatto che c’è Renzi da una parte e quasi tutti dall’altra. Dire le cose così rischia di apparire polemico, ma è vero. Renzi per ora non si è fatto da parte. Le dimissioni le ha date, ma continua a dare le carte». Intanto Sala, in parallelo con Zingaretti, sogna che la proposta politica «radicalmente diversa» e «post-renziana» capace di dare una scossa al Pd parta da Milano.

Il modello è quello sperimentato negli ultimi sette anni al governo della città: un centrosinistra ampio capace di dialogare con mondi distinti e alle volte distanti dal Pd, un modello che tenga insieme innovazione e inclusione esportabile a livello nazionale. Lo stesso obiettivo indicato da Majorino all’inizio dell’incontro: «Noi vogliamo una grande Pd all’interno di una grande alleanza di centrosinistra. In fretta, non c’è tempo da perdere, perché l’Italia ha bisogno della sinistra. Una sinistra moderna e radicalmente desiderosa di cambiamento che riparta dalla lotta alla povertà, dal sostegno al reddito e dalle politiche per il lavoro. Ci vuole un candidato premier spendibile, di fronte al quale non ci sia la rivolta in metà della sinistra». Come dire: non Renzi.

Sul concetto di sinistra, però, il sindaco di Bergamo ed ex candidato governatore del Pd alle Regionali Giorgio Gori sfida la platea raccolta da Majorino: «Alle ultime elezioni chi non ha votato per noi ha votato a destra, non alla nostra sinistra. Ciò non vuol dire diventare un partito di destra, ma sul tema dell’immigrazione dobbiamo aprire una riflessione. L’essere il partito degli ultimi ci ha fatto scordare i penultimi e i terzultimi. Io mi auguro che non si riparta da un’identità nostalgica. Non torniamo indietro».

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