Calvagese della Riviera (Brescia), 14 marzo 2010 - La cornice è quella a metà politica e a metà conviviale di una campagna elettorale. Il candidato distribuisce strette di mano e (con moderazione) sorrisi. Si chiama Renzo Bossi, 21 anni che non dimostra, candidato della Lega Nord a Brescia per il consiglio regionale della Lombardia.

 

Perché è sceso in campo?
«Non sono io che scendo in campo. Ho sempre detto una cosa: ho scelto di correre con le preferenze per farmi conoscere dalla gente. E se qualcuno parla di nepotismo rispondo che avrei potuto chiedere il listino bloccato e tutto sarebbe stato facile».

 

Quanto ha influito nella sua decisione il fatto di essere cresciuto a pane e politica?
«Tanto. Ho vissuto la passione che mio è padre metteva non nel suo lavoro ma nella vita, perché la politica la sua vita, e lui me l’ha trasmessa. Ho sempre fatto le campagne elettorali, partecipavo a tutti i comizi, la notte andavo in giro a mettere i manifesti».

 

Da militante.
«Sono un militante».

 

Quali valori le ha trasmesso suo padre?
«Uno fra tutti è la lealtà. Legato alla politica significa portare nelle istituzioni i veri problemi del territorio e della gente, guardando alle istituzioni come a un mezzo per risolvere il maggior numero possibile di problemi».

 

Su quali temi ha impostato la sua campagna elettorale?
«Per primo aiutare a sostenere le nostre aziende, le piccole e medie imprese, salvaguardando i posti di lavoro. Nello stesso tempo aiutare l’agricoltura, uno dei settori portanti della nostra economia, anche a Brescia. Per farlo occorre creare un nuovo marchio, il made in Lombardia. Giro per le aziende agricole e penso che il cento per cento delle filiere deve essere fatto da noi. Oggi non è così».

 

In questi giorni si muove in una realtà di crisi. Che cosa le arriva?
«La sensazione è che la gente abbia capito l’importanza della Regione, che sarà l’attore principale del futuro. Dobbiamo salvaguardare i posti di lavoro. Sono assolutamente contrario alla delocalizzazione delle aziende. Si devono creare nuovi strumenti per gli imprenditori sul territorio. Conosco gli imprenditori del Nord. Conosco il loro orgoglio nel portare avanti, far crescere le loro aziende. Questo orgoglio non lo perderanno mai. Sono pronti a sviluppare le aziende, ad affrontare fatica e sacrifici, perché sanno che dalla crisi di oggi uscirà il rilancio verso un nuovo sistema economico e industriale».

 

Perché la Lega attrae l’elettorato giovane e anche una parte del vecchio elettorato di sinistra?
«Nella Lega gli elettori vedono gli ideali, i principi, un progetto che si era già delineato vent’anni fa e che non è mai cambiato. C’è un elemento di concretezza che è sotto gli occhi di tutti. I giovani vedono nella Lega una forza che cerca di creare un nuovo futuro. La Lega da sempre punta sui giovani. Mio padre magari a casa ci stava poco, ma era a combattere per il mio futuro. E io lo sapevo. Per gli altri, quelli che votavano diversamentre, può darsi che giochi la delusione di un sistema politico che oggi è alquanto confuso. La Lega invece porta delle proposte politiche chiare».

 

È difficile essere il figlio del proprio leader politico?
«Per te tutto è facile, mi sento dire da qualcuno. Sbagliato. Come tutti i padri, mio padre pretende di più dal figlio. Gli altri possono sbagliare, io no».

 

Com’è nata la definizione di “trota”?
«È del papà. Eravamo sul Monviso. “Renzo è il delfino?” gli ha chiesto qualcuno. “Per ora è una trota”, ha risposto. Qualcuno può pensare che mi sia offeso. Assolutamente no. Anzi. Su Facebook è nato il Trota fan club».

 

Seccato?
«No. Anzi».

 

Cosa ricorda di quella mattina del 2005, affacciato al balcone della casa di Carlo Cattaneo a Lugano accanto a suo padre?
«L’emozione di avere ritrovato il papà di fianco a me dopo la sua malattia. Vedere il guerriero ritrovare il suo popolo, davanti a lui. Gridare con lui “Padania libera!”. L’emozione di quando mi ha tirato vicino a sé. Non l’aveva preparato. Ho sentito il calore, il sentimento della gente per papà e l’ho sentito trasmesso anche a me».

 

Parliamo di un suo impegno: team manager della Nazionale Padana.
«Conservavo la foto con autografo di uno dei giocatori che avevano vinto il mondiale dei Popoli nel 1999. Due anni fa è nata l’idea di rilanciare la Nazionale Padana. Il calcio, certo, Ma la cosa più bella è incontrare altre culture, altre storie, altre tradizioni. Il calcio come veicolo per conoscere».

 

Padania a parte, è tifoso?
«Il calcio mi piace. Seguo il Milan. Quando riesco faccio una scappata a San Siro con il mio fratellino Sirio Eridanio, che è più tifoso di me».

 

La musica. Lei è un bravo pianista.
«Ho incominciato a studiare musica classica che avevo sei o sette anni. Ho smesso. Ho ripreso. Ho ripreso sul serio quando papà è tornato a casa. Facevo musica degli anni ‘60 e ‘70, quella che piaceva a lui. Adesso suono più jazz blues, che dà la possibilità di esprimere lo stato d’animo del momento. Un’altra cosa che mi ha riavvicinato al piano è stata la conoscenza con Giovanni Allevi. Quando è scoppiato il fenomeno ho detto che Giovanni aveva il merito di riportare la musica classica ai giovani. L’ho incontrato due anni fa in Senato al concerto di Natale».

 

Legge?
«Più che romanzi leggo libri di marketing, di economia. Conosco operatori del settore e questo mi aiuta molto».

 

Cinema, teatro.
«Per il cinema non ho tempo. Lo spettacolo teatrale che ho ancora negli occhi è un Pinocchio fatto dai Pooh a Milano. Mi è piaciuto che fosse messo in evidenza il concetto forte di famiglia fra Pinocchio e Geppetto. Mi piacerebbe che venisse rifatto».

 

Gli studi.
«L’importante non è dove studio, non voglio ritrovarmi i giornalisti, all’esame di maturità ne avevo attorno dieci. L’importante è studiare. Studio economia. Spesso mi confronto con Giuliano Noci, docente al Politecnico di Milano, che mi consiglia i testi e mi aiuta ad aprirmi la mente sul mondo economico del momento».

 

Va in discoteca?
«Forse ci va più spesso lei».

Magari.
«Amo tutta la musica ma la discoteca, dove si fa fatica a parlare, proprio no».

 

Tempo per l’amore?
«Non ho tempo. Come ha detto l’altro giorno il papà si deve fare la gavetta. La sto facendo, sopratuttto in questa campagna elettorale e in una provincia come Brescia che è enorme».

 

Il futuro.
«Non ho ancora la sfera di cristallo. Quello che posso dire è che sto mettendo tutta la passione e tutta la forza di volontà per combattere e aiutare a trovare una soluzione a tutti i problemi che la nostra gente affronta ogni giorno».

 

Definisca Renzo Bossi.
«Non ci ho mai pensato. Ci sono politici che si autodefiniscono in tanti modi. Io non lo faccio. Lascio che siano gli altri a farsi la loro opinione su di me».