Eurolega, Olimpia Milano verso la Final Four. Casalini: "L'Armani può fare il colpo"

L'ex coach biancorosso, campione d'Europa nel 1988 a Gand, lancia la squadra di Messina verso la sfida di Colonia

Kyle Hines

Kyle Hines

Milano - Un paio di giorni ancora di attesa e inizierà la grande avventura della Final Four di Eurolega per l’Olimpia Milano in quel di Colonia (venerdì 28 alle 21 la sfida contro il Barcellona). La memoria ritorna a quando i biancorossi furono protagonisti della prima Final Four della storia moderna del basket europeo (da quel momento il formato rimase sempre quello ad eccezione del 2000/2001). A Gand, nel 1988, l'Olimpia ci arrivava da campione in carica. Coach Franco Casalini sedeva sulla panchina, più giovane dei suoi veterani Meneghin-D'Antoni-McAdoo che ancora dominavano sul parquet e che riuscirono di nuovo a portare l'Olimpia sul tetto d'Europa. Ci racconta un flash di quella Final Four, al di là del successo? "L'ingresso in campo della semifinale fu come entrare nel salone dell'infermo, c'erano 6.000 tifosi greci dell'Aris Salonicco indemoniati, da Milano erano in 1.000. L'Aris aveva Galis e Yannakis, era uno squadrone. L'anno prima avevamo fatto l'impresa della rimonta, ma quell'anno sembravano proprio destinati alla vittoria. Facemmo una grande partita, Montecchi e Pittis furono perfetti su Galis. Dei nostri ragazzi che furono decisivi per cambiare la partita, anche quello fu un grande orgoglio. La nostra vittoria della coppa partì da lì" La Final Four azzera tutto. Come funziona? "Sai che si parte da 0-0 e che sei a 80 minuti da un possibile trionfo. Anche da una delusione in realtà, ma pensi di più alla vittoria, come è giusto che sia. Hai due gare secche da giocare, devi avere la massima fiducia nei tuoi e io non potevo non averla. Penso si possa dire la stessa cosa per Messina con la squadra che allena quest’anno. Anche ai tempi non eravamo favoriti, ma come fu per l'Aris, anche per il Barcellona può essere un'arma a doppio taglio. E’ di certo la squadra che ha giocato meglio durante l'anno, ma l'Armani ha la forza per una sorpresa". Ha vissuto le Final Four anche da cronista, cambia davvero tutto? “Il tasso adrenalinico non è neanche paragonabile, da coach hai tutta la pressione del mondo. La vivi con distacco, ma con la stessa passione. E si tifa la squadra italiana, con lucidità ovviamente, ma sperando che siano i nostri a vincere. E’ per il bene del movimento” Cose le piace di più di questa Olimpia? "Non ha mai avuto una mancanza di resa rispetto agli obiettivi. E' la base per aspirare al top. Il salto di qualità è stato soprattutto mentale rispetto al solito, Messina ha instillato la filosofia che in questi anni lo ha sempre portato a vincere ovunque è andato. Ha fatto innesti fondamentali, giocatori che hanno già vinto tanto. L'aggiunta di Hines e Datome a Rodriguez porta tranquillità, i compagni sanno che qualcuno sa come guidarli nelle difficoltà". Una cosa da fare per sovvertire il pronostico? "Messina non ha bisogno del mio aiuto con tutte le Final Four che ha disputato. Dico cosa feci io, la mossa di Meneghin in difesa su Subotic fu anticonvenzionale e inaspettata, costrinse loro a rivedere i piani. Non sempre in tempi così stretti c'è tempo per una contromossa efficace. Messina ne sa a pacchi, a prescindere dal Barcellona. Bisogna lavorare sulla consapevolezza della squadra". L'Eurolega ha fatto un documentario sugli "old boys", mettendo in parallelo la sua squadra al gruppo attuale. Quante analogie? "Non solo la carta d'identità, ma lo spirito, anche se la nostra era una squadra offensiva, mentre questa lavora molto bene in difesa. Hines è quello che per noi era Meneghin, anche tecnicamente. Se tu stai giocando con lui avrai di certo più coraggio e convinzione, sai che se sbagli una cosa, lui la risolve. Cambia solo il minutaggio che giocavano i due, ma ai tempi era un basket diverso. Anche Rodriguez è simile nella leadership a D'Antoni, una grande guida, sa come portarti fuori dalla tempesta". Coach Messina ha voluto dare spazio anche al suo assistente Mario Fioretti per testimoniare il lavoro dello staff. Quando conta il “dietro le quinte”? “Rispetto a quando facevo il vice la differenza è altissima. Io ero praticamente da solo, ma ora ci sono tante cose in più da curare. Il rapporto intermedio che si crea è fondamentale, verso l'alto con il coach e verso il basso con il giocatore. Fioretti è un elemento di grande continuità, conosce l’ambiente, aiuta tutti a entrarci con facilità. Un gruppo di assistenti che dà continuità diventa un tutt’uno indistruttibile e permette di fare davvero un grande lavoro di squadra, anche fuori dal campo”.

L'Olimpia capolista si troverà a giocare la Final Four nel mezzo dei playoff italiani, come gestire la situazione? "Ai tempi era diverso, noi le coppe le abbiamo vinte a inizio aprile, i playoff si giocavano dopo. Il gruppo era sempre lo stesso, 10 giocatori 10. Mi ricordo che il giorno dopo Losanna D'Antoni già mi chiedeva news sui quarti di finale. Ora serve almeno una squadra e mezza per gestire tutto e con i 6 italiani obbligatori in campionato è quasi come se ci fossero due gruppi diversi. E' un aspetto molto delicato, forse inesplorato ancora. Serve forma, freschezza, presenza fisica e mentale. E soprattutto non si deve mai spegnere la fiamma, quella della voglia di vincere".

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