Inter, Conte festeggia i 50 anni al telefono: vuole Dzeko come regalo di Suning

Compleanno di lavoro per lui: stamattina allenamento e poi mercato

Edin Dzeko

Edin Dzeko

Milano, 31 luglio 2019 - Il futuro calcistico ce l’aveva nel destino. Nei primi passi, mossi in una squadra che si chiamava “Juventina”, premessa di un futuro radioso per Antonio Conte, in primis nella sua Lecce e poi con la Signora. È in bianconero che ha tagliato il quarto di secolo, boa più sentita guardando alla vita di un uomo che non a quella di un calciatore. Vale lo stesso per l’allenatore, probabilmente: poco dicono i 50 anni come spartiacque per una storia in panchina, tanto fanno all’essere uomo, alle riflessioni della mattina in cui ci si sveglia, famiglia a fianco, e si prende il primo caffé della mezza età, con moglie e figlia. Non potrà festeggiare gustando il riposo, ammesso che ne abbia realmente usufruito durante le 48 ore concesse al gruppo dopo il rientro dalla tournée asiatica. Le voci di corridoio raccontano come le abbia passate principalmente al telefono, mentre questa mattina si presenterà ad Appiano Gentile assieme ai colleghi e amici dello staff per guidare l’allenamento dell’Inter.

Chissà come avrebbe reagito, Conte, se gli avessero detto qualche anno fa che quella boa così significativa l’avrebbe aggirata alla guida della attuale squadra. Lui per primo non aveva escluso, ai tempi della Juve, che un giorno avrebbe potuto guidare un’acerrima rivale. «Siamo professionisti, io oggi sono allenatore e tifoso della Juve, ma se dovessi allenare Milan o Inter diventerei il primo tifoso della mia squadra», disse nel 2013. Frase che passò in carrozza perché per la piazza bianconera Conte era il condottiero che aveva riportato in auge le velleità trionfanti della nobile caduta in disgrazia e risalita dalla B fino al tricolore, dopo aver già vissuto un’epopea da calciatore mettendo una Champions League in bacheca. Solo chi già ne conosceva il carattere e la volontà di vincere ancora e ancora, prese per buone le dichiarazioni di Conte, ricordando gli anni in cui da simbolo della Lecce calcistica prese in carico il Bari e lo portò alla promozione in A, vincendo il derby e inimicandosi i suoi concittadini, oppure quando in una sfortunata avventura all’Arezzo si scagliò contro i giocatori della Juve per aver perso contro lo Spezia, sancendo la retrocessione dei toscani. O ancora quando, senza far nomi, vincendo la FA Cup da allenatore del Chelsea si definì «un vincitore seriale nonostante tutte le difficoltà che un campionato come questo presenta», mentre «da altre parti i campionati vengono assegnati prima che inizino», velato riferimento al filotto tricolore dei bianconeri.

Eppure alla maggior parte dei compagni di ventura, in tanti anni, Conte ha lasciato ricordi di solida amicizia. La nidiata del Lecce degli anni d’oro a metà anni ‘80, guidata da Eugenio Fascetti e Carlo Mazzone, con talenti poi usciti dal Salento per far fortuna altrove come Garzya, Moriero, Nobile, più stimati dirigenti di oggi come Petrachi (che ha invano fatto carte false per portarlo alla Roma) e Baccin (vice ds all’Inter ritrovato a Milano) o Giuliano Terraneo. Con molti di loro Conte ha ancora contatti. Qualcuno ha avuto modo di raccontargli, prima dello sbarco sul Naviglio, cosa avrebbe trovato in nerazzurro. Nel bene e nel male, come ha potuto notare da sé in queste prime settimane di lavoro. Un incipit di quel che sarà, in un percorso che lo stesso tecnico leccese aveva previsto tortuoso fin dai primi passi. Spera, magari, che il regalo dei cinquant’anni possa essere un attaccante tra quelli nella lista consegnata a Giuseppe Marotta. Edin Dzeko su tutti, ma non solo. Altrimenti trasformerà la rabbia in virtù e farà quel che serve, come sempre, strappando il proverbiale sangue dalle rape. Controcorrente.

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