La Lombardia e la ricchezza che non si tocca: "La sfida è valorizzare i beni intangibili"

Forum con imprenditori e manager al “Giorno” in collaborazione con Unicredit

Giovanni Solaroli

Giovanni Solaroli

Milano, 16 luglio 2019 - Quando il patrimonio invisibile diventa l’elemento decisivo nella strategia di un’azienda. La vera difficoltà, però, sta nel riconoscere i beni intangibili, misurarli, valorizzarli e comunicarli all’esterno alimentando così un circolo virtuoso. È questa la sfida delle aziende lombarde e di Unicredit che le supporta in questo percorso. «Ormai in tutte le economie evolute gli investimenti in beni intangibili hanno superato gli altri – spiega Giovanni Solaroli, Regional manager Lombardia di Unicredit – E spesso parliamo di aspetti che caratterizzano gli elementi distintivi di un’azienda. A volte, però, le imprese non hanno la consapevolezza del valore di quello che stanno creando. Non solo: alcune volte è difficile quantificarli, non compaiono a bilancio o risultano tra le spese correnti anziché tra gli investimenti». Per questi motivi Il Giorno e Unicredit hanno organizzato un forum con manager e imprenditori. Partecipano Diego Andreis, managing director di Fluid-O-Tech e presidente del Gruppo meccatronici di Assolombarda; Giovanni Solaroli, regional manager Lombardia di Unicredit; Giuliano Mosconi, presidente e Ceo di Tecno spa; Riccardo Comerio, amministratore delegato dell’azienda Comerio Ercole e presidente della Liuc e Ali Reza Arabnia, presidente e Ceo di Geico Taikisha.

Perché i beni intangibili sono così importanti?

«Volendo fare una classificazione, potremmo parlare di beni intangibili hard, come nel caso dei brevetti, ma anche di soft, quelli che generalmente presentano più difficoltà nell’essere misurati. Un esempio di quest’ultima tipologia potrebbe essere la cultura di un prodotto o di una lavorazione che si ha nei nostri distretti - risponde Giovanni Solaroli, Regional manager Lombardia di Unicredit - Avere fornitori molto preparati, vicini geograficamente e forti di un rapporto solido permette ad un’azienda di avere una flessibilità, tratto distintivo nel nostro caso, che le altre non possono avere. Direi che per prima cosa le aziende devono prendere consapevolezza del valore dei loro investimenti in beni intangibili misurandone le capacità per poi valorizzarne gli effetti al fine di comunicarli a tutti, dai dipendenti fino all’esterno».

Qual è su questo fronte il ruolo di Unicredit?

«In Lombardia c’è una fortissima concentrazione di beni intangibili. Il nostro compito è quello di valutare assieme alle aziende il valore di questi aspetti. Il nostro è un percorso con le imprese che ci permette di capire quali sono gli strumenti necessari alla crescita sostenibile. Non partiamo dall’offerta, ma al contrario cerchiamo di capire assieme alle imprese quali sono le migliori soluzioni per la struttura del capitale aziendale».

Come si legano questi investimenti con la rivoluzione di industria 4.0 nelle fabbriche?

«Noi abbiamo rilevato che le aziende hanno avuto la possibilità di investire anche nei beni intangibili, soprattutto nella seconda fase di Impresa 4.0. Non si è trattato solo di un rinnovo del parco macchine: le aziende hanno capito che per fare un buon investimento sui beni materiali è necessaria una visione di fondo del sistema produttivo che privilegi pure gli intangibili».

Chi deve valutare un’impresa come riesce a valorizzare davvero beni che spesso non compaiono a bilancio?

«Il nostro compito è quello di capire quanto questi aspetti siano rilevanti nella strategia dell’azienda. Ad esempio, a parità di bilancio, un’azienda a differenza di un’altra potrebbe aver investito efficacemente in organizzazione per ottenere procedure più snelle o in internazionalizzazione per garantirsi una clientela diversificata. I criteri di valutazione delle aziende da parte delle banche stanno integrando anche elementi qualitativi. È un lavoro in corso ma da parte nostra è fondamentale, però, cogliere gli elementi caratterizzanti della strategia di un’impresa andando oltre i rating».

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