Milano chiede più aiuto. Milano tende la mano, permettendo una redistribuzione del reddito non scontata in tempi di crisi. A tracciare un quadro dell’emergenza lavoro, delle categorie più colpite ma anche della “Milan col coeur in man“, nonostante tutto, è il primo bilancio del Fondo San Giuseppe, strumento approvato il 22 di marzo dello scorso anno, nel pieno della prima ondata, frutto dell’alleanza fra Diocesi e Comune, che hanno puntato i primi 4 milioni di euro, saliti - grazie alle donazioni di fondazioni e cittadini - a 8.349.985 euro, 4.924.000 dei quali già redistribuiti.
«Le richieste di aiuto si sono concentrate molto su Milano, a dimostrazione di quanto il lockdown abbia colpito duro sulla città, senza pendolari e turisti", ha spiegato Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiano, facendo i conti: 3.110 le richieste di aiuto arrivate, 763 tramite autocandidature e 2.347 dalle parrocchie, vere “sentinelle“; 2.454 le domande approvate. Sono stati erogati dai 400 agli 800 euro per tre mesi, con possibilità di proroga. E se su Milano si è concentrato il 41,7% dei contributi (2.051.800 euro che salgono a 2.794.400 contando chi non abita ma lavora in città), arriva da Milano il 42,3% delle donazioni (con 1.082 offerte per oltre un milione e mezzo di euro). Dai dati emerge l’identikit di chi ha avuto più bisogno. Chi è stato travolto dalla crisi connessa alla pandemia e ha chiesto aiuto è nel 53,8% dei casi un uomo, ha tra i 35 e i 44 anni (36,5%); rispetto ad aprile 2020 quando il 48% era italiano e il 52% di origine straniera, questi ultimi salgono al 58,7%; il 38,4% è cassintegrato. Ad essere più penalizzate - ancora una volta - sono le famiglie numerose. La fetta maggiore di chi ha bussato al Fondo San Giuseppe è del settore della ristorazione (36,6%), il 12,7% lavora o lavorava in alberghi. Chi non aveva contratto regolare è stato dirottato verso altri strumenti d’aiuto e, in particolare, verso il Fondo diocesano di assistenza che, nell’ultimo anno, ha erogato 1.367.481 euro e ha aiutato anche 394 lavoratori in nero o tirocinanti.
«In termini occupazionali siamo ai livelli pre-Expo, abbiamo fatto un passo indietro di 5 anni", ha ricordato il sindaco Giuseppe Sala, che guarda al post-emergenza: "Conto tantissimo sui fondi del Recovery plan – ha confessato –, Milano si candida a poter fare una parte da protagonista, i progetti ci sono già, sono in linea con gli obiettivi dell’Unione Europea e quei fondi devono essere spesi entro il 2026. È la via principale che vedo per garantire l’occupazione e la ripartenza". Perché se ci sono segnali positivi nel Real Estate, per un "turismo solido ci vorrà del tempo, un paio di anni". "Le caratteristiche di Milano e le ragioni per cui la città si candida a partecipare, a valutare e ad apprezzare i fondi europei ci dicono che Milano ha dentro un’anima di prospettiva, di intraprendenza e di creatività", sottolinea anche l’arcivescovo Mario Delpini ricordando però che "ben vengano le risorse europee, ma più necessaria ancora è una spiritualità milanese che approfitti delle proprie competenze e risorse per costruire percorsi di futuro".