Commercio e servizi: 62mila posti in fumo

La crisi del settore fotografata dai dati: catene che falliscono, negozi chiusi e dipendenti spinti alle dimissioni

La rabbia di un'esercente

La rabbia di un'esercente

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Milano, 7 gennaio 2021 - Un tasso di crescita occupazionale pesantemente negativo, –315,9%, dato dalla differenza tra avviamenti al lavoro e cessazioni fra 2019 e 2020, nel macro-settore commercio e servizi. Corrisponde a 61.929 posti di lavoro persi in Lombardia solo nel primo semestre dell’anno appena trascorso, con una situazione che non è migliorata nei mesi successivi.

È uno dei dati, riportati in una ricerca della Cisl regionale, che fotografa la crisi occupazionale del commercio, “drogata“ nell’emergenza sanitaria dagli ammortizzatori sociali e dal blocco degli esuberi che per ora hanno congelato futuri licenziamenti ancora difficili da quantificare. Guardando i numeri, la crisi dell’aggregato commercio-servizi, che comprende le più svariate attività del terziario, spicca nel confronto con gli altri settori. Il tasso di crescita occupazionale medio in Lombardia, dato dalla differenza fra il saldo avviamenti-cessazioni del 2019 e quello del 2020, si fermava al –160,5%. Nell’industria –82.4%, sempre nel confronto con i numeri del 2019. Nelle costruzioni –22.5%, nell’agricoltura –17.1%. Nel commercio-servizi la debacle, con un –315.9% concentrato nelle attività del terziario colpite dal lockdown. Dietro i numeri famiglie che hanno già pagato il conto della crisi. In Lombardia tra il secondo trimestre 2019 e lo stesso periodo del 2020 in generale "si perdono 110mila occupati", con una "diminuzione rilevante che non si verificava dalla crisi del 2009". I saldi invernali ai nastri di partenza potrebbero portare una boccata d’ossigeno per il commercio, anche se tutto dipenderà dall’andamento della pandemia.

Intanto si moltiplicano le situazioni di crisi approdate sul tavolo dei sindacati e davanti al Tribunale fallimentare, le chiusure di storici negozi e catene che prima erano un punto di riferimento nelle vie dello shopping e nei centri commerciali. Il fallimento della francese Camaieu fondata nel 1984 ha lasciato in Italia una "scatola vuota" con i senza stipendio dal primo novembre che almeno, grazie al licenziamento, potranno ricevere la Naspi. La crisi ha colpito gruppi italiani come Scarpe&Scarpe e Conbipel, multinazionali come H&M e Accessorize, solo per citarne alcune. Gap ha annunciato la chiusura di 120 negozi in Europa, tra cui quelli di Milano. Una piccola boccata d’ossigeno nella crisi del gruppo francese di abbigliamento per bambini Kidiliz-Z Stores è arrivata con l’acquisizione di una parte dei punti vendita da parte di Zucchi e Id Valeurs, ma nonostante questo "almeno 350 lavoratrici sembrano destinate a uscire".

Federazione Moda Italia-Confcommercio prevede la chiusura di 20 mila punti vendita in Italia, una perdita di 20 miliardi di euro di fatturato e il rischio occupazionale per 50mila persone. Perdita di posti che sta già avvenendo con la chiusura di negozi seguita da trasferimenti a centinaia di chilometri di distanza, che spingono i dipendenti alle dimissioni.  

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