Valentina Lodovini si racconta a Il Giorno: "L’emozione di recitare Franca e Dario"/ FOTO

L'attrice sul palcoscenico al Menotti in 'Tutta casa, letto e chiesa'

Valentina Lodovini nella redazione de Il Giorno

Valentina Lodovini nella redazione de Il Giorno

Milano, 15 novembre 2018 - E' affascinante osservare l’interesse che suscita in redazione un’intervista a Valentina Lodovini. Un friccicorio s’aggira per le scrivanie, tutti ad allungare il collo quando i tacchi risuonano in corridoio. Maglioncino scuro e cappello notevolissimo, l’attrice di Sansepolcro (Toscana) è vamp senza quasi accorgersene. Che il sorriso sembra quello della compagna d’università. A Milano presenta “Tutta casa, letto e chiesa”, monologo in quattro quadri sulla condizione femminile di Dario Fo e Franca Rame, fino a domenica al Menotti per la regia di Sandro Mabellini. Occasione preziosa. Per vederla sul palco e per averla ospite in diretta Facebook dagli uffici in corso Buenos Aires.

Lodovini, com’è portare a Milano Dario Fo e Franca Rame?

«Loro appartengono a tutti, fanno lo stesso effetto ovunque. Su di me invece l’emozione è grande, come se sentissi una responsabilità maggiore. Il testo è del 1977 eppure rimane attualissimo. Mi è parso qualcosa di importante. Credo che solo continuando a raccontare e a denunciare possano avvenire dei cambiamenti. Per quanto lenti».

In origine il lavoro si chiudeva con Medea, voi avete scelto Alice.

«È Alice nel Paese senza Meraviglie, racconto di formazione di una ragazza che vorrebbe essere se stessa ma gli altri la frenano, la bloccano, decidono per lei. Un pezzo bellissimo».

L’arte riesce ancora a intervenire sulla società?

«La cultura in generale rappresenta l’identità di un paese. Sono purtroppo cambiate molte cose, per certi versi mi sembra che andremmo tutti rieducati. Non si coltiva la memoria, non si conoscono le tradizioni, si pensa che si possa vivere il contemporaneo senza confrontarsi con il passato. Arrivano messaggi in cui tutto sembra semplice e facile, invece non è così. Le cose belle costano: fatica, ricerca, studio. Però si può recuperare. Io credo ancora nelle famiglie, nelle scuole, nei ragazzi. Bisogna supportarli. Un libro va letto, poi ti può piacere o meno, ma intanto lo leggi. Ti devi nutrire per poi fare delle scelte, avere un’opinione».

Il teatro va in questa direzione.

«È il mio amore ma la realtà ha superato il sogno. E pensare che non trovavo il coraggio di buttarmi… Ero una ragazzina molto solitaria, che faticava a interagire con gli altri ma passava le ore a leggere. Un’amica attrice aveva intuito la mia difficoltà e così mi chiese di aiutarla nell’imparare alcune parti. Un giorno poi mi convinse ad accompagnarla a fare un regalo al fratello e invece mi scaricò davanti al teatro dove c’erano le audizioni. A pensarci non so nemmeno come ho fatto. Non provavo nulla. C’ero e basta. Annusavo l’odore del teatro. Mi faceva sentire a casa».

Quando è stata la svolta?

«Non c’è stata, non sono mai soddisfatta, guardo poco indietro, ho fatto mio l’insegnamento di Monicelli: “Avanti, avanti!”. Alla fine mi hanno formata il cinema, la letteratura, il teatro: è come se mi avessero gettato nella vita in loro compagnia. Sono una privilegiata, faccio parte di una minoranza con la consapevolezza che domani potrebbe finire».

Un momento difficile?

«Ogni giorno. Perché c’è sempre il dubbio, la paura di non meritarlo. Ma credo che faccia parte della bellezza del mio lavoro. È un mestiere carico dell’essenza della vita. Come l’amore. Hai paura di amare però ti butti e ami lo stesso».

Le piacerebbe tornare a lavorare a un progetto corale?

«Ne ho già uno per il futuro prossimo. Ma in questo momento preferisco proseguire così, non dipendere dagli umori degli altri. Meglio stare da sola. Io e le mie quattro amiche».

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