Il mare e i suoi marinai, storie di vita e migrazioni

È un mare interno, il Mediterraneo, eppure centrale nella storia della civiltà

Milano, 25 novembre 2018 - È un mare interno, il Mediterraneo, “una sorta d’enorme lago compreso tra lo stretto di Gibilterra e le coste del Medio Oriente, tra Venezia e Alessandria d’Egitto”. Eppure centrale, nella storia della civiltà e ancor oggi carico di tensioni e valori molto più grandi della sua dimensione geografica.

Lo raccontano, in modo originale, Amedeo Feniello e Alessandro Vanoli in “Storia del Mediterraneo in venti oggetti”, Laterza, parlando di pane e rete, chitarra e valigia, anfora e corallo, moneta e bussola, i pupi e la spada, la catena e il relitto, il barcone e la fontana. Storie di viaggi e di emigrazioni (emigrato era Enea, padre fondatore dell’Italia), guerre e commerci, dai tempi del mito all’attualità. Il Mediterraneo, attraverso quegli oggetti, è un insieme di vicende che s’intrecciano, culture composite, lingue della guerra e degli scambi. Con lo sforzo di “allargare lo sguardo”, per cogliere, “tra il bello e il brutto” della Storia, la poesia nostalgica e speranzosa di un’umanità in movimento. Il mare sono i suoi marinai.

Di cui Mario Genco, uno dei migliori giornalisti italiani, capace d’unire profondità di documentazione a qualità di scrittura narrativa, racconta viaggi e storie in “Gente di mare - Verso il Novecento”, Torri del Vento Edizioni, terzo volume d’una serie dedicata alla marineria siciliana, dal centro del Mediterraneo alle acque del mondo. Tutto comincia con l’esame di nomi d’imbarcazioni e persone del Registro Navale di Palermo e delle altre città costiere. E va avanti parlando di brigantini e piroscafi, mentre le vele cedono il passo al vapore. Famiglie d’armatori e marinai, capitani avventurosi e mercanti, le prime donne sui documenti marittimi, i commerci e i naufragi, le ricchezze e la morte. L’epopea dei Florio. E una coppia di marinai intrepidi che, con ansia di mare aperto, chiamano il figlio Atlantico.

Autentica poesia. Il mare della storia e dei miti si può, appunto, navigare pure con un viaggio poetico, come fa Nathalie Handal in “Canto Mediterraneo”, Ronzani Editore, in una bella collana, anche graficamente elegante, dedicata a “manifesti di poesia contemporanea”. La Handal, scrittrice franco-americana, è nata in una famiglia palestinese a Betlemme, vive tra New York e Roma, insegna alla Columbia University. E qui mette in versi memorie e sogni, radici antiche d’una appartenenza molteplice di luoghi di crescita e formazione, partenze e addii. Il suo Mediterraneo è fatto di sguardi e desideri, con la consapevolezza che “la musica ci riporta sempre alla città da cui siamo fatti” e che viaggiare è una profonda condizione dell’anima: “Da bambina credevo/ che Dio fosse nel vento/ che ci porta altrove/ che le partenze fossero ritorni/ seppellivo il sole/ nel portacenere di mio padre/ per vederlo negli occhi/ a Berlino o a Stoccolma/ dove il freddo/ è un altro Paese/ il desiderio un altro paesaggio/ e il passato ritorna”.

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