Milano, raccoglie le confidenze dei passanti e canta "Le 5 fasi del dolore"

Il "confessionale" dell'artista Romina Falconi in Galleria Santa Ravegonda, sotto al Duomo

Le 5 fasi del dolore

Le 5 fasi del dolore

Milano, 12 ottobre 2018 - «Qualcuno penserà che sono la Marina Abramovich di Lambrate» scherzava ieri Romina Falconi nell’attesa di aprire il suo punto d’ascolto per cuori in affanno in Galleria Santa Ravegonda, sotto al Duomo, per ascoltare le confidenze dei frequentatori della metro così come farà ogni martedì e giovedì fino all’11 novembre per lanciare il suo nuovo singolo “Le 5 fasi del dolore’”.

«Non sono Cher – dice – ma le persone che mi seguono trovano nella mia scrittura un modo di parlare abbastanza crudo, forse perché spesso nella vita mi sono sentita sola e vivo la scrittura come un salasso. Una forma di comunicazione che funziona visto che molte persone hanno iniziato a raccontarmi le loro vite scoprendo il piacere di ascoltare oltre a quello, più abituale per un’artista, di essere ascoltata». Come ribadisce la copertina che la ritrae in abito da sposa in mezzo alla strada col viso rigato di lacrime, “Le 5 fasi del dolore” parla di abbandono e cita il famoso modello sviluppato dalla psichiatra Elisabeth Kübler Ross sull’elaborazione del lutto, dell’abbandono.

«Nei miei dischi cerco di lasciare qualcosa di buono all’ascoltatore – sottolinea Romina Falconi –. Vengo, infatti, da un quartiere di Roma abbastanza noto alle cronache come Tor Pignattara e sembro uscita da un film di Pasolini; ecco perché nelle canzoni parlo come mangio. In giro c’è tanta gente che vuol essere ascoltata. Questo ‘punto d’ascolto’ milanese è un modo per infondere fiducia, di confrontami e parlare della mia musica con tutti. Sto pensando di dare alle stampe fra qualche tempo un disco simile ad una mappa emotiva di tutti i rovesci che possono capitare nella vita, pure i prossimi brani, infatti parleranno delle esperienze del vivere». Romina ha voluto raccontare le cinque fasi del dolore con l’animo della paziente-tipo. «Il percorso per arrivare all’ultima fase, quella dell’accettazione, è lungo e doloroso, ma necessario».

Ha pensato di rappresentare l’abbandono nelle piazze di alcune città: una ragazza vestita da sposa, in lacrime. «Ero presente mentre una dolce sposina disperata vagava tra la gente allibita – racconta –. Poche signore si sono avvicinate cercando di dare conforto. L’abbandono ci fa così paura? Ho voluto fotografare quel momento, descrivendo con precisione chirurgica cosa ho provato durante un abbandono, ridendo e piangendo di me. Volevo essere sincera, a qualunque costo».

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