Rancore in concerto all'Alcatraz: la mia “Musica per Bambini”

Il rapper: "Mi spoglio per dire le cose in faccia come fanno i più piccoli"

Il rapper Rancore

Il rapper Rancore

Milano,1 3 aprile 2019 - Prima i contenuti. La sua è una musica «che non parla di soldi e di medaglioni» ma scava l’anima e va dritta lo stesso al cuore del rap. Rancore sbarca, infatti, domani sera all’Alcatraz per capitalizzare il buon lavoro iniziato col «grido» dell’ultimo album “Musica per bambini” e finito assieme a Daniele Silvestri davanti alle telecamere di Sanremo. «Un grido perché in “Musica per Bambini” ho voluto essere sincero come un bambino usando la musica come psicoterapia e le rime come anti-depressivo», spiega Rancore, classe 1989, al secolo Tarek Iurcich. «Poi sono arrivati “Argentovivo”, il Festival, e c’è voluta tanta concentrazione per dare il meglio vincendo l’emozione di trovarmi sul palco dell’Ariston e di farlo con Daniele Silvestri. Alla fine, però, il messaggio della canzone e della performance teatrale che ci abbiamo costruito sopra è arrivato». Un sesto posto prezioso, se si pensa che Silvestri con la sua canzone di maggior successo “Salirò” si era classificato quattordicesimo.

Tarek, tutte le sere è stata la stessa emozione?

«No. Durante la prima esecuzione ero in preda all’ansia perché dovevo bucare lo schermo, mentre la seconda, ormai ambientato, mi ha permesso di affrontare il palco con un po’ più di confidenza. Nella terza c’era Manuel Agnelli nei panni di ospite e quindi tutta l’impostazione dell’esibizione andava rivista, mentre nella performance finale mi sono sentito finalmente a casa ed è stato come esibirmi al Tufello. O quasi».

Silvestri l’aveva messa in guardia?

«A Daniele l’idea di andare è venuta a dicembre, quindi pochi giorni prima dell’annuncio ufficiale, quando stavo ancora scrivendo la mia parte. Era la nostra prima collaborazione e abbiamo dovuto lavorare tantissimo per trovare la sintonia necessaria ad affrontare il Festival con una proposta non proprio convenzionale. Mi sono fatto tante paranoie, ma alla fine l’esperienza s’è rivelata più semplice di quanto pensassi».

Da romano di padre croato e madre egiziana si è sentito un po’ toccato dalle polemiche seguite alla vittoria di Mahmood?

«A dire il vero dentro certe storie mi ci sento da un po’ di tempo. Pure lontano dal Festival. La mia difesa è andare avanti senza mettermi ad alimentare il polverone; il mio modo di portare rancore verso certi fenomeni d’intolleranza passa anche attraverso il silenzio. Oggi tutto viene strumentalizzato politicamente e quando c’è di mezzo la musica, la disputa riesce a mettere in ombra pure quella. Questo è sicuramente un peccato per un festival di canzoni».

Cosa c’è nello spettacolo che porta all’Alcatraz?

«Eseguo quasi tutto “Musica per bambini”, ma anche i pezzi di dischi precedenti e le collaborazioni che mi hanno portato a queste nuove canzoni intime, personalissime, in cui mi spoglio per dire le cose in faccia proprio come fa il bimbo; un viaggio psicologico con tanti risvolti teatrali, che brani, monologhi, costumi, gag, trasformano in uno spettacolo a trecentosessanta gradi».

Fra le collaborazioni c’è pure “Lupi della notte”, il brano con Cranio Randagio pubblicato dopo la sua scomparsa?

«Lo conoscevo bene. Non eseguo il pezzo perché fa parte di un percorso diverso rispetto a quello seguito da “Musica per bambini”. Prima o poi, comunque, lo farò».

Tredici anni fa, quando pubblicò il suo primo disco “Segui me”, si sarebbe mai immaginato di arrivar fin qui?

«No, avrei potuto solo sognarlo. Però sono fatalista e penso che, se le cose debbono accadere, accadono. Per me che ho passato intere giornate sul foglio, ad esempio, ricevere a Sanremo il Premio per il miglior testo ha rappresentato una grandissima soddisfazione. Vincere pure quello della Critica, invece, è stata pura fantascienza».

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