Pupi Avati: "Io e la ricerca cronica della felicità"

Il regista si racconta a cuore aperto alla cinepresa degli studenti Iulm: "Vorrei sparire senza morire"

Il regista Pupi Avati sul set di “Vorrei sparire senza morire“ con gli studenti della Iulm

Il regista Pupi Avati sul set di “Vorrei sparire senza morire“ con gli studenti della Iulm

Milano, 7 settembre 2021 - "Vorrei sparire senza morire": Pupi Avati si racconta a cuore aperto agli studenti dell’Università Iulm. E il film collettivo - nato da un’idea del rettore Gianni Canova e messo in scena da Iulm Movie Lab - approda oggi a Venezia, all’interno delle Giornate degli Autori. Ha accettato subito l’invito, si è aperto ai ragazzi. Perché? "È nella mia natura parlare di me stesso, credo che abbia a che fare con una certa forma di infantilismo che non si regola all’anagrafe. E mi ha lusingato il fatto che studenti di cinema di una generazione molto lontana dalla mia si siano incuriositi riguardo al mio lavoro, alla mia vita. In più la scuola è condotta da uno dei critici, se non il critico, più autorevole che possiamo vantare in Italia, Gianni Canova. Tutti aspetti che hanno contribuito al film". Che ci mostra la sua struggente ricerca della felicità. "Sono sempre stato accusato di questo mio aspetto cronico, può chiedere a mia moglie. Ho fatto della mia vita una ricerca continua della felicità, pur sapendo da decenni che non esiste. Quando mi sembra di raggiungerla, svapora. È una lotta quotidiana, anche per questo lavoro che ti costringe a misurarti con racconti, autori, a ricercare il senso della vita. Ogni tanto preferirei essere una di quelle persone che vivono e basta, risolvendo la giornata". Eppure è ancora sul set. "E ho finito il film più difficile della mia vita, lo avrei dovuto fare 20 anni fa. Avere fatto in età avanzata un film così ambizioso, a livello culturale e produttivo, superando con mio fratello ostacoli che sembravano insormontabili, mi appaga. È la mia biografia immaginaria di Dante Alighieri, raccontato da Boccaccio. Dante è un punto di riferimento per me, con la sua vicenda umana e la creatività che ha espresso, malgrado tutto. Come altri poeti mi ricorda che non ci sono alibi". In questa ricerca continua di felicità, quando le è sembrato di averla afferrata? "Innumerevoli volte, a partire dai tempi remoti con la mia jazz band. L’ho sfiorata ai festival, penso alla gioia che mi hanno dato i miei figli, alla consapevolezza di disporre di una famiglia così coesa. Ho un mosaico di attimi felici accanto a un’infinità di attimi tutt’altro che fausti. Poterli sublimare, sorriderci sopra mi consola". Nel film della Iulm ha scelto lei i set. E partire dal cimitero di San Leo, a Sasso Marconi. "Per parlare di me e dare il senso del mio viaggio ho voluto partire da lì, dai miei antenati, dal pantheon della mia esistenza". “Vorrei sparire senza morire“: perché? "Nella cultura contadina dalla quale provengo la morte è incombente, si parla della propria morte. Adesso non è autorizzato. Mi piacerebbe essere esentato dal subire il trauma della morte legata alla sofferenza e al dolore, sublimandola nell’attimo in cui uno sparisce". Si è aperto a studenti che sono all’inizio del loro cammino nel cinema. Cosa consiglia? "Solo dicendo di sé l’intera verità senza nascondersi dietro a ruoli o modi di essere, riesci a raggiungere un livello di sincerità e di comunicazione molto alto al punto che chi ti guarda, chi ti ascolta, si fida. Forse è l’unica cosa che ho voluto insegnare".

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