Pugilato in carcere a Bollate: un libro sul progetto "Pugni chiusi"

L'esperienza rieducativa dello sport raccontata in "Per essere chiari" da un ex detenuto diventato volontario

Pugni chiusi, foto di Federico Guida

Pugni chiusi, foto di Federico Guida

Bollate (Milano) - Diventa (anche) un libro, il progetto "Pugni chiusi" avviato nel carcere di Bollate nel 2016. Dopo la realizzazione del docufilm e la mostra fotografica il progetto per insegnare pugilato ai detenuti è diventato la trama di un saggio, "Per essere chiari", scritto da Antiniska Pozzi, Editore Milieu, collana Banditi senza Tempo.

"Non è il pugilato in sé, come disciplina, che ti salva, è il tuo percorso di uomo nella boxe, perché per mezzo di quella fatica puoi riuscire così a dominare i demoni", spiega l'autore. Ideatore e anima del progetto è Mirko Chiari, volontario in carcere, che ha coinvolto i detenuti in un corso di pugilato e che, chiarisce il libro, è più un percorso, accomuna chi viene da fuori e chi vive dentro. E dentro è stato anche Mirko, a 19 anni, un paio di giorni a San Vittore, per un motorino rubato. È lì che il narcotrafficante Pino gli ha spiegato che "tutti abbiamo un tempo e se siamo abbastanza fortunati possiamo deciderne cosa farne. La scelta non è sempre serena, perché dobbiamo condividerla con la bestia che ci abita. Quello che puoi fare è capire come tenere a bada la tua, e se c'è un altro modo per nutrirla rispetto a quello che hai trovato fino a oggi, un modo che non ti porti al gabbio". E' anche per questo che Mirko decide: chiude con i furti, inizia a lavorare, entra in palestra. Affronta 104 incontri, incontra maestri veri e non, compagni di allenamento che diventano amici. 

"Ogni incontro, ogni allenamento, ha scavato fiumi carsici, ha eroso cime - si legge nel romanzo - smussato angoli, creato spazi che non c'erano e cancellato zone che non avevano più senso di esistere". Fino a quando, un giorno, "ho capito che non era più il pugilato al mio servizio, ero io che sentivo di dover essere al servizio del pugilato". Nel 2016 torna in carcere, a Bollate, come volontario. E qui inizia il suo progetto e la box diventa in pochi mesi un modo per "combattere senza rifiutarsi di fuggire il dolore non è naturale. Ne consegue una dimensione di rispetto, nei confronti di se stessi prima che in quelli degli altri intorno".

La grinta e la forza dei detenuti-pugili del carcere lo scorso anno erano stati immortalati anche dalla macchina fotografica di Federico Guida, scatti che avevamo incantano la giuria della 14esima edizione del Premio Canon e ottenuto una Menzione speciale per la fotografia sportiva. Prima ancora era stato realizzato un documentario per la regia di Alessandro Migliore e grazie al sostegno di 93 donatori attraverso la piattaforma di crowdfunding Produzioni Dal Basso e alla co-produzione di Infinity. Ora il libro. "L'insegnamento lo faccio in gruppo, ma il percorso ognuno lo fa con se stesso", racconta Mirko che nel frattempo ha portato il progetto anche nel carcere San Vittore di Milano. Da mesi però "il percorso è sospeso causa Covid senza possibilità, per ora, di riprendere, ma speriamo che con il ritorno alla normalità si possa tornare ad allenarsi". Intanto lui non è restato con i guantoni in mano, ma ha fatto partire un nuovo progetto con la fondazione Exodus. Tutto, sempre, gratis, "non so quantificare quanto lo sport mi abbia dato, rendo quello che posso, quello che ho lo dono".

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