De Pisis, a Milano un capolavoro di mostra

Dalle nature morte ai ritratti, l’antologica al Museo del Novecento

 “Natura morta con panettone”

“Natura morta con panettone”

Milano, 4 ottobre 2019 - Si trovò a vivere negli anni in cui anche la pittura in Italia era chiamata imperiosamente a dar prova o di una mestizia piccoloborghese o di un velleitario monumentalismo, magari con infelici sbavature di volgarità, carattere proprio di ogni fascismo, passato e presente. Tratti che proprio non appartennero mai a Filippo de Pisis. Basta una brevissima citazione dal giovanile “Fiore all’occhiello”, testo di quando lo scrittore aveva ancora il sopravvento sul pittore: fra gli “oggetti e cose che si riferiscono alla vita del gentleman” si trovano enumerati “libri, biblioteca, giornali, riviste”, e fin qui tutto più o meno normale, ma anche “l’orticoltura, la piscicoltura” e, sorpresa, “il possesso di un erbario”.

Passione anche del contemporaneo Paul Klee, ma che de Pisis, “botanico flâneur”, come fu anche definito, coltivò con entusiasmo, sia nella realtà, sia sulla tela. Senza mai indulgere a un espressionismo di risulta, ma con la delicatezza quasi sensuale che infondeva nelle sue “nature morte”: viluppi di ramoscelli o fiori – “Saprei difficilmente privarmi del casto piacere di mettere all’occhiello del bel vestito grigio unito due o tre corolle doppie di viola bianca” -, magari affiancati a un paio di pesci morti o a una conchiglia reliquia di una marina.

Una mostra delicata e raffinata la ricchissima antologica che il Museo del Novecento offre da oggi al 1° marzo 2020 – avete solo due ore e siete obbligati a scegliere? Sacrificate, certo a malincuore, de Chirico ma non perdetevi de Pisis… - . Un’esposizione che, per le cure di Pier Giovanni Castagnoli con la collaborazione di Danka Giacon, di Electa il notevolissimo catalogo, conduce il visitatore a ripercorrere con intelligente cronologia l’avventura di un maestro che, nato nel 1896 nella magica Ferrara, scomparso dopo ani difficili nel 1956 a Milano, incontrò, o incrociò, le più suggestive correnti europee senza mai appartenere pienamente a nessuna, piuttosto affinando il proprio stile personale. Dai primi dipinti ferraresi che risentono dell’influenza, comunque, di de Chirico e Savinio, agli splendidi squarci di Parigi, dove conobbe Braque e Picasso, ma anche Joyce e Svevo: “paesaggi interiori”, la ”Rue de Dragon”, o la “Rue de Clichy”, eseguiti rapidamente, dal vivo, sotto gli occhi di un pubblico curioso.

Dalla singolare “Testa di Negro” – gli emarginati certo non amati dal fascismo, di ieri e di oggi - al “Marinaio francese” ai ritratti d’intensità magnetica, “Il Vecchio” o “Il Buongustaio”, questi nati nei soggiorni fra il Cadore e Cortina d’Ampezzo. ANNI DIFFICILI , gli ultimi di de Pisis, si accennava. Alla Biennale di Venezia gli negano il Gran Premio della Giuria: colpa della sua omosessualità. La malattia nervosa. I ricoveri. Che lui riesce a tradurre visivamente nel “Cielo a Villa Fiorita”, capolavoro estremo. Museo del Novecento (piazza del Duomo 8). Fino al 1° marzo 2020. Catalogo Electa. Info: 02.88444061.  

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