Mogol: "Io, Celentano e la canzone sull’arcobaleno"

Il ricordo del grande paroliere: nel ’98, dopo la scomparsa di Lucio Battisti una medium mi convinse a scriverla

Giulio Rapetti, in arte Mogol

Giulio Rapetti, in arte Mogol

Milano - "Non so esattamente quante canzoni ho scritto", ammette Mogol. "So, però, quanti dischi ho venduto nel mondo e in Siae ho dovuto far verificare il dato due volte perché non mi sembrava possibile: 523 milioni. Numeri americani…".

Milanese di tre generazioni, Giulio Rapetti Mogol a 85 anni rimane uno degli autori che hanno inciso di più sul patrimonio letterario della canzone italiana. "Ho avuto un’educazione molto lombarda, rigida, di cui ringrazio i miei genitori perché mi ha aiutato nella vita e nell’arte".

Cosa ricorda dei primi anni?

"Una delle prime canzoni che ho imparato da bambino è stata ‘O mia bela Madunina’, avrò avuto cinque anni. I miei genitori in casa parlavano il dialetto milanese; lo trovo fantastico, addirittura più conciso della lingua inglese. Ricordo ancora mia mamma dire ‘mi vu’ invece di ‘io vado’".

L’infanzia a Milano, gli anni della guerra a Carugo, quelli con Battisti a Molteno, lo studio nel mulino di Anzano del Parco, il trasferimento ad Avigliano Umbro. Dove sta il grosso dei ricordi?

"Lucio Dalla diceva che la Brianza è uno dei posti più belli del mondo e pure io mi ci sono trovato molto bene. Anche se poi con le fabbriche e gli stabilimenti è diventata meno bella".

Ne ha parlato nelle canzoni.

"In ‘Impressioni di settembre’ ho raccontato una Brianza pittorica in ‘Una giornata uggiosa’ quella ‘velenosa’. Ma erano sempre mie suggestioni. Ho scritto perfino una canzone che avrebbe potuto costarmi la vita".

Quale?

"La stessa ‘Una giornata uggiosa’ per quella frase che dice ‘e gente giusta che rifiuti d’esser preda / di facili entusiasmi e ideologie alla moda’. Al tempo, infatti, le ideologie erano quelle delle Brigate Rosse".

Fra i suoi grandi sodalizi c’è stato pure quello con Celentano.

"Io e Adriano siamo milanesi nell’anima, cresciuti nello stesso periodo, a tre chilometri di distanza l’uno dall’altro e circondati dagli stessi amici. A legarci è stata pure una delle esperienze più particolari della mia vita".

Quella de 'L’arcobaleno'?

"Sì. Nel ’98, dopo la scomparsa di Lucio, una medium che lavorava a Barcellona come docente d’italiano telefonò alla mia segretaria Daniela dicendo di aver avuto un ‘incontro’ con Battisti. Lui l’aveva pregata di contattarmi perché scrivessi le parole di una sua canzone, dedicata a me, riguardante l’arcobaleno. Lì per lì, ovviamente, rifiutai".

Cosa le fece cambiare idea?

"Una settimana dopo quella chiamata, sulla rivista ‘Firma’ del Diner’s Club uscì una storia di copertina in cui il direttore Giulio Caporaso raccontava di aver sognato Battisti che gli aveva parlato di un pezzo sull’arcobaleno. Rimasi turbato. Una sera, parlando della cosa a cena con Adriano e Claudia Mori, dissi che, anche volendo, non avrei potuto comporla perché mancava la musica. A tavola c’era pure Gianni Bella, che tirò fuori un’audiocassetta dicendo di avere con sé una melodia appena composta. Ce la fece ascoltare ed era perfetta per il pezzo".

Quindi si mise all’opera?

"Sì, in auto. Entrato in autostrada a Milano Nord, iniziai a dettare di getto le parole all’amica con cui viaggiavo. All’altezza di Lodi, un quarto d’ora dopo, il testo era già finito. Avevo un solo dubbio sul verso ‘L’arcobaleno è il mio messaggio d’amore può darsi un giorno ti riesca a toccare’ perché l’arcobaleno non si può toccare. Ma una settimana dopo, sempre in autostrada, vidi un enorme arcobaleno, con dei colori spaventosi, che finiva praticamente sul cofano della macchina. Arrivato a destinazione, chiamai Adriano dicendogli: incidila così. Alla fine lo fece ma, intimorito dalle troppe coincidenze, si decise solo alle tre del mattino".

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro