Mario Lavezzi: "Cinquant’anni di chitarra nella mia Milano che suona in la maggiore"

Il compositore e produttore discografico curerà l’uscita di un cofanetto con le canzoni scritte, prodotte e interpretate da lui. Nel 2020 arriverà un libro sulla sua storia

Mario Lavezzi

Mario Lavezzi

Milano, 25 agosto 2019 - «Milano attualmente è dinamica e cosmopolita, rispetto al provincialismo del passato, da cui non riusciva a liberarsi. Oggi ha una connotazione europea». A parlare è Mario Lavezzi, compositore e produttore discografico. In autunno in occasione dei suoi cinquant’anni di carriera, curerà l’uscita di un cofanetto con le canzoni scritte, prodotte e interpretate da lui. Nel 2020 arriverà un libro sulla sua storia di 50 anni al centro della musica.

Un ricordo legato alla città?

«Il primo mi riconduce a Piazza Napoli, luogo di incontro con i miei coetanei. Ci sedevamo sulle panchine dei giardini e cercavamo di imparare a suonare la chitarra. Erano gli anni ’60. Vivevamo in un contesto straordinario per i giovani, travolti dalla musica. Ricordo anche che, quando andavo da mio cugino, i miei occhi cadevano su una chitarra appesa al muro. Quell’oggetto, che allora era per me misterioso, catalizzava la mia attenzione. L’amore per la musica era già dentro di me».

Un confronto tra la Milano di ieri e di oggi?

«Sono due mondi completamente diversi. Nel primo la città stava crescendo, investita dal boom economico. Oggi, invece, Milano ha superato quella fase, con risultati ben visibili, soprattutto dopo l’Expo, grazie a un’intelligente gestione di sinergie. Normalmente un politico non prosegue sull’iter dei suoi predecessori. Nel caso del capoluogo lombardo, invece, tra gli ultimi tre sindaci c’è stato un continuum».

Milano in una nota musicale?

«Direi un la maggiore, perché mi dà una bella sensazione di apertura. È una città versatile, che si è sempre contraddistinta per l’accoglienza. La vedo attenta, non soltanto alle nuove tecnologie, ma soprattutto ai nuovi eventi e a quello che sta succedendo nel pianeta».

E con un genere musicale?

«La definirei rock. La metropoli meneghina è dinamica, pulsa. Ma la accosterei anche al reggae, segno di movimento».

Un luogo che predilige?

«Quello in cui vivo: Brera. È un bellissimo quartiere, con molti eventi, come quelli legati al Salone del Mobile. Chi ha dato vita al Fuori Salone, ha avuto una brillante idea, perché ha creato una serie di iniziative, con un grande risultato di ritorno alla città. Anche le Olimpiadi Invernali 2026 porteranno alla riqualificazione di altre zone. Si verificherà ciò che è successo alle Varesine, con una esplosione di tecnologie, nuove strutture».

Il lato negativo di Milano?

«Manca ancora il recupero delle periferie: ci deve essere la volontà di operare. Inoltre, bisognerebbe dare maggiore spazio alla cultura teatrale. Con Teo Teocoli cercai di lanciare il nuovo Derby, ma la struttura, alla fine, fu venduta dal Comune. Non si sa ancora cosa ospiterà. A Londra, Parigi, Berlino, al contrario, i luoghi dei teatri vengono salvaguardati; anzi, vi si sviluppano altre iniziative. Lo stesso accade a Broadway, dove si incentiva il teatro e non lo si smantella per dar vita a un centro commerciale».

E poi…

«Nel quadrilatero della moda, dopo la chiusura dei negozi, la zona è deserta. Lì un tempo si viveva di notte e c’era molto movimento. Ora i locali sono stati decentrati. Sui Navigli, al contrario, con gli happy hours, i giovani si riversano nelle strade. Credo che si debba intervenire, con buone idee, affinché anche il cuore della città rinasca».

Di che colore la vede?

«È azzurra, perché il cielo azzurro trasmette una bella sensazione, la voglia di uscire, di vivere intensamente».

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