Marco Balzano vince il Bagutta: "Trovo le mie storie sott’acqua"

Premiato con il romanzo 'Resto qui'

Marco Balzano, 40 anni, dopo il Premio Strega vince anche il Bagutta

Marco Balzano, 40 anni, dopo il Premio Strega vince anche il Bagutta

Milano, 27 gennaio 2019 - Già da ragazzino pensava che da grande avrebbe fatto lo scrittore. E la domenica pomeriggio, quando, passeggiando con il padre per il centro di Milano, passava davanti al ristorante Bagutta, vi sarebbe entrato volentieri: magari proprio in quel momento assegnavano quel premio di cui aveva sentito parlare.

Questa sera, nella Sala dell’Ermellino, la nuova sede messa a disposizione da Francesco Micheli nel suo studio, Marco Balzano, milanese, 40enne, il Bagutta lo riceverà davvero: l’ha vinto con “Resto qui”, bellissimo romanzo edito da Einaudi. Il Bagutta Opera Prima la giuria presieduta da Isabella Bossi Fedrigotti l’ha assegnato a Marco Amerighi, pure milanese, per il suo “Le ore contate” pubblicato da Mondadori. “Resto qui”, romanzo che ha collezionato una lunga serie di premi, e il secondo posto all’ultimo Strega, racconta, con la voce di Trina, donna combattiva e resistente, la lotta tenace per non abbandonare il maso di Curon, in Val Venosta, il paesino sommerso dal lago provocato dalla diga realizzata nel 1950 dalla Montecatini, che completava così il vecchio sogno di Mussolini. Di Curon resta il campanile che spunta dall’acqua. Cartolina turistica che nasconde la tristezza di una vicenda disumana.

Marco Balzano, lei è scrittore e professore. Fa leggere i suoi libri a scuola?

«Fatto salvo che la parola professore non mi piace, certo, insegno lettere al liceo scientifico ‘Russell’ di Garbagnate; le due facce della mia persona. I miei libri a scuola? Mai, lo troverei immorale. Sì, i miei studenti sanno che scrivo. E mi fa piacere se mi leggono: di loro volontà. Anzi, è un onore».

I suoi rapporti con la scuola?

«Ottimi, è un lavoro piacevole, la scuola è uno splendido punto panoramico di riflessione sulla società. Fatta anche di giovani e di adulti seri. Una minoranza, magari, silenziosa».

Non sarebbe meglio rumorosa?

«Sarebbe l’unica cosa da fare».

Lei è anche saggista. E ha esordito come poeta. Il romanzo é un lavoro, la poesia una vocazione?

«Ogni arte richiede talento. Poi, sì, il romanziere lavora nella sua ‘bottega’, come un certosino rinascimentale. La poesia attende l’illuminazione».

Com’è nato “Resto qui”?

«Trovandomi il Val Venosta con i miei figli. Non sapevo nulla di Curon, ma il campanile nel lago mi è apparso in tutta la sua potenza evocativa. Sott’acqua: come dev’essere la letteratura che mi interessa».

Quanto di realtà e quanto di fantasia nel suo libro?

«Reale è la storia di Curon, la vita di quel paese, i suoi abitanti, gli unici ad aver vissuto fascismo e nazismo. Una storia rimossa, quella del Sudtirolo. Di mio c’è la vicenda esistenziale di Trina, Erich, dei loro figli, Marica, Michael».

Una donna combattiva, Trina, in una cultura antica, vedi i ‘masi chiusi’.

«Volevo una figura di donna che non soccombesse, non facile ad arrendersi. La vera Trina è esistita: una foto la ritrae a 85 anni nella sua casa assediata dall’acqua, sul tavolo di cucina, aggrappata al cornicione della finestra».

Una vicenda di emigrazione, la sua. Tema scottante, anzi, rovente, in Italia, anche in queste ore. Il suo giudizio “politico”?

«Una politica, questa italiana, nemica di ogni umanità, tesa solo alla propaganda, miope, violenta».

E leggermente fascista?

«Tolga il leggermente».

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