Giacomo Poretti alla ricerca dell’anima perduta

Intervista all'attore in scena al Teatro Leonardo

Giacomo Poretti sul palcoscenico con lo spettacolo dal titolo “Fare un’anima”

Giacomo Poretti sul palcoscenico con lo spettacolo dal titolo “Fare un’anima”

Milano, 8 novembre 2018 - L'anima non conta. O almeno così cantano gli Zen Circus (da ascoltare). La pensa diversamente Giacomo Poretti, che allontanatosi momentaneamente dai soci del trio, porta in giro per teatri “Fare un’anima”, dal 15 novembre al Leonardo, per la regia di Andrea Chiodi. Difficile definirlo uno spettacolo comico. Eppur si ride. Mentre la riflessione tutta spirituale nasce da una frase che un amico sacerdote disse a Giacomo e a sua moglie appena diventati genitori: «Avete fatto un corpo ora dovete fare l’anima...».

Poretti, qual è dunque la ricetta per costruire un’anima?

«È la domanda più difficile che potesse farmi. Diciamo che alla fine dello spettacolo si dovrebbe riuscire a mettere insieme gli elementi per convincersi che ce l’abbiamo ed è pure necessaria. Ma c’è tutto un percorso. Anche perché è una di quelle parole che pare non suscitare più alcun interesse, che rischia di scomparire. Un po’ come paltò, villeggiatura, agrimensore. Chi usa più agrimensore se non hai letto “Il Castello” di Kafka?».

Intende dire che sta scomparendo la tensione spirituale?

«Quello è il punto di partenza, se vogliamo la provocazione di quel sacerdote che è venuto a trovare due genitori che non hanno mai pensato a queste cose. Ma la mia è la riflessione dell’uomo medio, che quando gli dicono che suo figlio è maschio già se lo immagina ingegnere, architetto, Pallone d’Oro. Uno che pensa che le cose fondamentali siano una laurea, un lavoro, una casa. Poi ti accorgi che c’è altro».

Il mondo dello spettacolo pare piuttosto disattento all’argomento.

«Tutti i mondi, nessuno escluso. Pensi alla finanza o allo stesso giornalismo. Non si frequentano nemmeno più certe parole, non le scrivi e non le leggi. Finiscono nei dizionari, i loro cimiteri. Ma la domanda credo che se la pongano credenti e non credenti: mi sono fatto da solo o c’è dell’altro? Poi ognuno trova la sua risposta».

La sua qual è?

«Che non ci siamo fatti da noi».

La trasmissione «Scarp de’ tenis - incontri sulla strada» su Tv2000 è un’altra tappa di questo percorso?

«A volte le cose sembrano capitare casualmente, non so se c’è un disegno. Ma quando me l’hanno proposto mi sono messo a disposizione. Quattro puntate nei dormitori, nelle mense, a fianco di chi è in difficoltà. Un’esperienza urticante per certi aspetti. Io mi sono detto: non giudicare. Le persone non sono lì per divertimento, hanno alle spalle storie tragiche, spesso senza soluzione».

È stato difficile?

«Sì, mi ha toccato. È più facile occuparsi intellettualmente di queste cose, invece che andare al dormitorio di Fratel Ettore o in viale Ortles, dove ogni notte arrivano 700 persone per dormire. E sono tantissimi quelli che il giorno dopo non sanno nemmeno dove andare».

Quando andrà in onda?

«Mi pare a metà dicembre, dall’11 in avanti. Nel frattempo ho appena cominciato a vedermi con gli altri per progettare il nuovo film del trio».

Ma è vero che ha litigato con Aldo e Giovanni?

«No, assolutamente. Ma voi giornalisti siete talmente innamorati di questa notizia che la può tranquillamente ripetere».

Perché venire a vederla a teatro?

«Perché è uno spettacolo dove si ride. Ma in cui sono certo di riuscire anche a stupire!».

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