Frankie il pioniere si racconta: "Ecco perché il rap è la mia vita"

Hi-nrg mc ha scritto il suo primo libro che ha intitolato “Faccio la mia cosa”. E con il Qr Code si possono ascoltare tutti i brani che sono citati nel volume

Frankie

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Milano, 31 ottobre 2019 -   Faccio la mia cosa nella casa. Così cantava (giovanissimo) Frankie hi-nrg mc. E all’epoca probabilmente non si sarebbe mai immaginato che la casa in questione sarebbe potuta essere il teatro. Il rapper di Torino debutta infatti con «Tra libro e teatro: faccio la mia cosa», monologo tratto dalla sua autobiografia uscita per Mondadori. Lo si vede stasera alle 21 al Bibiena di Mantova, nell’ambito della 14esima edizione del Festival Segni. Sul palco i suoi primi vent’anni di carriera.

Frankie, perché un’autobiografia? «Mi è scattato il desiderio di scrivere. Insieme alla consapevolezza che forse i tempi erano maturi per raccontare qualcosa di me, nonostante il pudore».

I momenti più belli? «Il debutto, i tanti riconoscimenti, l’esperienza di lavorare con Marco Paolini o Mauro Brunello. Ma anche aprire i concerti dei Run DMC e dei Beastie Boys, collaborare a un pezzo con RZA dei Wu-Tang Clan… Sono stato fortunato».

Il primo contatto con il rap? «Direi «Rapper’s Delight» dei Sugarhill Gang e «Rapture» di Blondie, quindi fra il 1979 e il 1982. Sono stati i primi passi all’interno di una cultura che comunicava anche attraverso un nuovo e stranissimo ballo e questa forma d’arte che si faceva con le bombolette. All’epoca mi sembravano elementi scollegati, solo dopo ho capito che erano parte di uno stesso fenomeno».

Perché ha scelto di lanciarsi con il teatro ? «I racconti vanno condivisi. E questa è una storia affascinante all’interno dell’hip hop, cultura importantissima per la società contemporanea. Chi l’avrebbe mai detto, considerando che alla fine parliamo di un genere inventato nel Bronx da alcuni bambini… Nel libro ho inserito dei QR Code che permettono di ascoltare al cellulare i brani di cui parlo senza dover lasciare la pagina».

Ormai la considerano un maestro. «Ringrazio ma non mi ci sono mai sentito. Sono solamente un inquilino di questo condominio. E non mi sento il portavoce di una generazione, ruolo che non mi interessa. Rappresento solo me stesso e le mie idee. Se poi qualcuno ci si ritrova, tanto meglio».

Alcune sue canzoni non sembrano invecchiare. «Mentre scrivevo esasperavo quello che vedevo intorno a me. Ma poi tutti hanno deciso di andare in quella direzione, come se fosse un libretto di istruzione. Eppure io raccontavo cose negative e di fantasia!».

Che giudizio ha della trap? «Non è il mio genere. Preferisco comunque le basi ai testi, forse perché la musica è un linguaggio che riesco a comprendere meglio. Le parole mi sembrano riferite a una specifica generazione. Un po’ come il punk, anche se con obiettivi del tutto diversi. Ma l’hip hop mi piace ancora, eccome. Mi piace l’eclettismo di questa cultura, che va molto oltre il semplice genere musicale».  

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