Avventure nell’inconscio con l’"altro Carofiglio"

“Jonas e il predatore degli incubi” è il continuum di “Jonas e il Mondo Nero”, storia di un ragazzo che vede cose che altri non vedono

Francesco Carofiglio

Francesco Carofiglio

Milano, 25 luglio 2020 - “Jonas e il predatore degli incubi” (Ed. Il Battello a Vapore) è il continuum di “Jonas e il Mondo Nero”, storia di un ragazzo che vede cose che altri non vedono. Lo scrittore e regista Francesco Carofiglio ha deciso di continuare a viaggiare con lui.

I punti salienti? «Le vicende si snodano, partendo da un’apparente quiete iniziale. Poi, qualcuno sparisce e Jonas avverte voci, in incubi ricorrenti, che lo chiamano da qualche parte. Di lì a poco tutto precipiterà. Il ragazzo verrà risucchiato in una terrificante avventura dentro di sé e fuori dal suo inconscio».

Quindi… «Jonas sta per compiere tredici anni, linea di confine tra l’infanzia e l’adolescenza. È tempo di farsi carico delle proprie responsabilità. Avverte segnali allarmanti di un pericolo incombente. Per affrontare la paura deve imparare ad affilare le armi del coraggio. Lo aiuterà un misterioso indagatore dell’incubo, suo mentore».

Le caratteristiche di Jonas? «È un ragazzo di talento, che non sa di avere. Coltiva passioni, che lo rendono non propriamente popolare con i suoi coetanei: è un gran lettore, colleziona coleotteri. Incontra in biblioteca uno psicoterapeuta, illusionista da ragazzo. Instaurerà con lui un rapporto maestro-allievo. Un detto Zen dice che quando l’allievo è pronto, il maestro appare».

Il confine tra la realtà e l’immaginazione? «Lo decide il lettore. Le storie possono essere lette con registri differenti, soffermandosi sull’avventura del mondo fantastico e misterioso o sulla dimensione intima della riflessione. Non stabilisco regole, mi piace disseminare esche. Sta a chi legge trovarle e farne uso».

Le esche nel libro? «I sogni ci raccontano sempre qualcosa; se esiste una domanda forte dentro il nostro inconscio, bisognerà cercare una risposta, per evitare un problema. Bisogna essere capaci di chiedere aiuto e coltivare le amicizie. Da ragazzino ero più portato al compiacimento della solitudine. Credo, però, che sia più salutare fidarsi degli altri, anche se qualche volta ci si fa male». 

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