Milano, Enrico Beruschi è sempre il solito Pierino

L’attore voce narrante ai Concerti della Domenica del Filodrammatici

Enrico Beruschi

per lucidi Salotto letterario di RomaIncontra al Teatro Santa Chiara, Enrico Beruschi (MARCELLINO RADOGNA, ROMA - 2018-11-05) p.s. la foto e' utilizzabile nel rispetto del contesto in cui e' stata scattata, e senza intento diffamatorio del decoro delle persone rappresentate

Milano, 26 gennaio 2019 - Forse non avrà lo smoking bianco di quarant’anni fa. Quando un po’ per caso, si ritrovò sul palco dell’Ariston. Come cantante. Ma sempre di musica si tratta, visto che Enrico Beruschi domani alle 11 è protagonista del nuovo appuntamento dei Concerti della Domenica di Roberto Porroni. Lui la voce narrante di un “Pierino e il lupo” che si intreccerà con “Porgy and Bess” e “West Side Story”. Insomma, un mosaico di Prokofiev, Gershwin e Bernstein. Con lo storico volto di Drive In affiancato sul palco da un quintetto di fiati: flauto, oboe, clarinetto, fagotto, corno.

Beruschi, quarant’anni fa per parlarle bisognava andare a Sanremo.

«Pensi che per partecipare al Festival presi qualche giorno di pausa dalla trasmissione “Luna Park”. Mi trovai circondato da persone che consideravano la musica la loro vita. Io non sapevo nemmeno bene cosa stessi facendo. Però ho un record: sono il primo non cantante arrivato in finale, ho aperto la strada a Faletti e Francesco Salvi».

Come si piazzò?

«Ufficialmente quinto».

Cosa intende?

«So solo che mi stavo per togliere il vestito di scena, uno smoking bianco da ganassa ma fui fermato da Mike Bongiorno che mi disse di rimanere elegante perché ero terzo. Non so cosa sia successo, ma quando mi richiamarono ero finito quinto. Pazienza, tanto ormai credo che sia tutto in prescrizione».

Domenica è di nuovo alle prese con la musica.

«La lirica è una delle mie passioni. Questo progetto è nato dopo un concerto del Maestro Porroni dedicato a Erik Satie. Mi aveva cercato per avere sul palco una voce un po’ stramba e devo dire che è andata molto bene. Abbiamo così deciso di continuare con “Pierino e il Lupo”. Ne ho già fatti diversi, in questo caso la particolarità è che sarò accompagnato da un quintetto di fiati. Visto che sono giovane mi piacciono le cose un po’ nuove».

Ma si è mai pentito di aver lasciato il posto da vicedirettore commerciale in Galbusera?

«No. Ma ogni tanto ci rido sopra. Mi licenziai il 15 settembre 1972, pensavo di meritare un aumento che non era arrivato e così decisi di dedicarmi al cabaret. Mario Galbusera mi chiese se ero sicuro, mi disse che ero una persona perbene e che quell’ambiente, quello dei teatri, era invece difficile, complicato. Mi salutò dicendo che per me ci sarebbe sempre stato posto. Quando l’ho rivisto qualche anno fa, gli ho ricordato la promessa chiedendogli se c’era ancora un posticino come pensionato Galbusera...».

La prima sera al Derby?

«Ci misi cinque minuti solo per trovare il coraggio di salutare il pubblico. Ma intanto la gente rideva, quindi andava bene. Ero bravino a raccontare barzellette. Non come Walter Chiari ma ero bravino».

Senta, ma cosa ha pensato della storia di Lino Banfi all’Unesco?

«Ci sono rimasto come quello della mascherpa. Lo sa cosa vuol dire?».

Che l’ha presa male.

«Ma sì. È una cosa che proprio non ho capito, non ne riesco a trovare il senso. Ma devo ammettere che non capisco tante cose di quello che succede ultimamente».

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