Donatella Rettore: vi mostrerò il mio lato selvaggio

"Mi esibirò al Carroponte senza band ma ci si divertirà molto perché non sono fatta per annoiare..."

Donatella Rettore (Ansa)

Donatella Rettore (Ansa)

Milano, 12 luglio 2018 - Avevo una casa a Milano ad un passo dal cielo all’ultimo piano» è il titolo un po’ alla Lina Wertmüller in cui sta tutta la passione di Rettore (guai a chiamarla Donatella, al limite ‘Dada’ come usano gli amici) per questa città. «Per me Milano è un amante segreto, che se svelato svanisce. Come i sogni al mattino» assicura parlando dello spettacolo che la porta sabato al Carroponte con un’unica apprensione. Volante. «Mi porterò una collezioni di zampironi perché sono allergica alle punture di zanzara. Sono reduce da uno choc anafilattico che mi ha messo fuori gioco oltre due settimane. Da tre anni ho problemi, ma vado avanti perché, per me che sono selvaggia, vivere sotto alla campana di vetro è impossibile».

Qual era la sua Milano? «Non quella da bere, ma da vivere. Ho vissuto per 18 anni a Città Studi, e dalla finestra della cucina vedevo la Madonnina. Anche se la mia passione era spegnere le luci, accendevo lo stereo, e guardare la luna dall’abbaino del bagno. Una luna grande, materna, quella di una Milano anni ’90 splendida splendente. Città di profonde gioie e grandi pianti». 

Pianti? «Sì, perché non ti regala niente, ma quel che ti meriti ti dà a differenza di Roma dove per ottenere le cose fai una fatica immensa e poi, spesso, vinci per sfinimento della controparte. Roma è la letterina. Di raccomandazione. Se non ce l’hai devi rimboccarti le maniche e lavorare alla morte. Milano se hai un talento trovi anche il mezzo per valorizzarlo. Una città forte, sana e libera com’è sempre stata».

Cosa farà al Carroponte? «Anche se avrò con me la band, non saranno le canoniche due ore perché toglierò i pezzi unplugged per concentrarmi sugli altri. Un po’ mi spiace perché il pubblico lombardo mi apprezza anche per le ballad, ma ci si divertirà perché non appartengo al tipo di donne nate per annoiare». 

A “Tale e Quale Show” un’infezione l’ha costretta ad abbandonare quando stava per fare l’icona milanese Ornella Vanoni. Dispiaciuta? «Beh, sì. Avrei dovuto interpretare l’Ornella della mala. Quella di ‘Ma mi’. Me l’ero preparata col cesello e quella punta di nevrosi che contraddistingue tutto ciò che faccio. Avrei voluto portare un campionario di personalità forti come quella di Ornella, appunto, ma pure di Gabriella Ferri, di Caterina Caselli, di Patty Pravo, di Monica Vitti, ma pure Nannarella». 

Un ricordo della Rettore milanese? «Una sera a metà anni ’80 andai a vedere Boldi e Teocoli al Derby. Massimo improvvisò una battuta fuori copione che prese di sprovvista il partner. Poi sì voltò verso di me e scoppiammo in lacrime dal ridere mentre Teo, che non capiva, lo richiamava all’ordine coprendolo d’insulti. Penso che la città quest’anima autentica la mantenga, con Paolo Rossi e altri».

Già, ma tutto passa. «È triste che il Derby non ci sia più. Per fortuna resta lo Zelig, anche se lo vedo con un filino meno scanzonato e più malinconico del Derby. Forse perché al tempo in cui lo frequentavo con i miei amici ci sentivamo giovani col mondo in mano. Al Derby non andavi a vedere una Sconsolata, ma casomai una Scatenata. I comici di oggi si portano spesso dentro quella punta di malinconia che ci ha messo addosso il Ventunesimo Secolo».  

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