Cirque du Soleil come un sogno: show evento al Forum

Intervista a mauro Mozzani, protagonista dello show “Corteo”

Cirque du Soleil

Cirque du Soleil

Assago (Milano), 12 settembre 2019 - Il principio tanto caro a Fellini, secondo cui l’unico vero realista è il visionario, trova risata e cerone in “Corteo”, lo show più sognante del Cirque du Soleil, in arrivo al Forum dal 2 al 6 ottobre. Un affresco felliniano che ruota attorno alla figura di un gigante col cuore da saltimbanco e lo spiccato accento piacentino, Mauro Mozzani. È lui a strizzare l’occhio al maestro riminese autoinvitandosi al proprio funerale come Fischietto ne “I clowns” o a sfrecciare in cielo in sella ad una bicicletta (invece che su una scopa) come in un film di De Sica. Il regista italo-svizzero Daniele Finzi Pasca per portare “Corteo” sotto al tendone dell’ensemble canadese pensò subito a lui, all’ex giocatore di rugby ed ex tecnico all’Agip apprezzato ai tempi dell’allestimento di “Brutta canaglia la solitudine” che la fisicità e l’esperienza attoriale nel Manicomics Teatro rendeva l’interprete ideale di un ruolo che gli sarebbe rimasto attaccato addosso come una seconda pelle. Circa la metà dei 9 milioni di spettatori messi a bilancio dallo spettacolo in quattordici anni di repliche hanno avuto modo di applaudirlo.

Mozzani, quanto tempo passa mediamente all’anno nella carovana di “Corteo”?

«Circa sei mesi. Anche se nel 2018, tra riallestimento e tour, ne ho fatti dodici, toccando 63 città tra Canada e Stati Uniti; in tutto 438 repliche che mi hanno visto in scena 250 volte».

Nel resto del tempo cosa fa?

«Mi divido fra la mia Piacenza, dove nell’85 ho fondato Manicomis Teatro assieme a Rolando Tarquini e Graziano Marafante, e Borgotaro, dove vivo con moglie e figli. Con i Manicomics abbiamo addirittura aperto a Piacenza un teatro da 100 posti in una vecchia chiesa, l’Open Space 360, dove facciamo pure spettacoli di circo».

I clown italiani che hanno lavorato al Cirque si contano sulle dita di una mano.

«Ci sono stati pure Pippo Crotti in “Totem” (in arrivo il prossimo anno a Roma e Milano - nda) e Onofrio Colucci in “O”, “Zaia” e “Zed”. Per me fare il clown significa realizzare il mio sogno di bambino. La folgorazione, infatti, m’è venuta all’età di 7-8 anni guardando alla tv gli sketch di Jacques Tati».

Ora “Corteo” sbarca in Italia.

«La tranche americana è finita ad Hershey, la capitale americana del cioccolato, con un altro al mio posto, ma sono contentissimo di rientrare perché cambiare pubblico ogni settimana, passare dalle grandi città a quelle di provincia e viceversa, è un po’ faticoso ma molto rock’n’roll».

Quante volte ha vestito i panni del clown sognatore?

«Duemila o giù di lì. I primi due anni di repliche li feci senza farmi sostituire, ma poi, dopo 650 spettacoli nel Nord America, distrutto nel corpo e nella mente, fui costretto a fermarmi. Ripresi in Giappone, dove “Corteo” è diventato lo spettacolo del Cirque più visto di sempre. E questo grazie proprio al suo sapore europeo, molto italiano».

Fino al 2017 avete usato il tendone, poi siete passati ai palasport.

«Nel trasferimento dal grand chapiteau alle arene, certi spettacoli del Cirque finiscono col perdere un po’ della loro magia, ma il nostro, grazie anche alla forte dimensione teatrale, rappresenta un’eccezione. Questo grazie anche ad un palco a pianta centrale e ad una scenografia che è praticamente la stessa dello chapiteau, con la sala divisa in due da un grande sipario e un’azione scenica speculare che porta gli artisti vicinissimi al pubblico».

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