Milano, Cat Power all'Alcatraz: "Io, randagia salvata dalla musica"

La cantante: "Nuova vita grazie a mio figlio e Lana Del Rey"

Cat Power

Cat Power

Milano, 4 novembre 2018 - Chi ha subito un danno è pericoloso, perché sa di poter sopravvivere, scriveva Josephine Hart nel suo romanzo più acclamato, ma nonostante le cicatrici di una vita d’alti e bassi Cat Power rimane la ragazza fragile e indifesa di “Moon Pix”, il suo capolavoro. Anzi una randagia, come suggerisce il titolo dell’ultimo album “Wanderer” (“Vagabonda”), con cui sbarca martedì prossimo all’Alcatraz per archiviare l’ennesima parentesi no di un’esistenza tormentata, che ha sempre trovato nell’arte il suo riscatto. Stavolta grazie anche all’amica Lana Del Rey, altro angelo in trucco – all’anagrafe si chiama Elizabeth Grant così come il nome di «Cat» è Charlyn Marie Marshall – che all’altro capo del filo non smette di elogiare.

“Wanderer” è il suo primo album in studio da sei anni a questa parte. È vero che sono successe molte cose nella sua vita, ma la sosta è stata lunga.

«Nel 2012 la mia ex casa discografica mi chiese un album di hit e fece pressioni perché lo promuovessi il più possibile, così misi tutta me stessa per far entrare “Sun” nella Top10 americana. Finito il tour, però stavo male e collassai. Un problema al sistema immunitario dovuto allo stress, dissero i medici. Nel 2014 ho scoprii di essere incinta e me ne andai a Miami per partorire e per registrare un nuovo disco che, una volta ultimato, fu rifiutato dalla (ex) casa discografica, con la giustificazione che non era abbastanza buono per essere pubblicato. Ho passato un anno col morale a terra alla ricerca di qualcuno che credesse in me e in quello che faccio».

Alla fine, però, è venuta fuori dal tunnel.

«È stata Lana Del Rey ad infondermi fiducia nei miei mezzi, chiedendomi prima di andare in tour con lei e poi spingendo perché firmassi con una nuova casa discografica, la Domino Records. Lana, che trovo bravissima nel cantare i lati oscuri della femminilità, ha dilatato la mia prospettiva ricordandomi il valore dell’essere un’artista donna solidale e amica. Mi ha pure ricordato che i valori fondanti dell’indie rock spesso non coincidono con quelli dell’industria».

In “Woman”, un pezzo del nuovo disco, c’è pure Lana al suo fianco, che lei ricambia in tour cantando la sua “White Mustang”.

«Per me la sfida è stata quella di dare alle stampe un disco impermeabile alle pressioni dell’etichetta discografica; non un album di hit, ma un viaggio emozionale che parlasse solo con la voce dei sentimenti. I miei. Dal repertorio della Del Rey ho preso “White Mustang” perché è una canzone che amo e che la esprime al meglio».

Nello spettacolo ci sono pure cover di Nick Cave, Dirty Tree, James Carr. Come le ha scelte?

«Sono canzoni mi emozionano molto, che m’è venuto naturale inserire in scaletta. Un omaggio alla musica, prima ancora che ai loro autori, trattandosi di pezzi poco commerciali, poco Mtv, ma carichi di significati».

Il bimbo in copertina è il suo Charlie?

«Sì. Dovevo cantare al funerale di un amico e stavo provando un vestito appropriato all’evento quando ho visto mio figlio spuntare sulla parte bassa dello specchio. C’era una chitarra e lui ci si è aggrappato. Ho pensato che, in fondo, la mia anima, il mio piccolo e la mia musica sono i punti cardinali della mia vita, così ho voluto fermare quell’immagine in una foto. Un simbolo, un flusso di coscienza. L’arrivo del mio piccolo m’ha salvata, proprio come m’ha salvata la musica».

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