Carmen Consoli al Carroponte: "Mi manca quella Milano un po’ ferrosa"

L'artista è attesa al Live ale porte della metropoli e poi si dice pronta per il tour con Marina Rei in Sudamerica

Una bella immagine di un'elegante Carmen Consoli

Una bella immagine di un'elegante Carmen Consoli

 

MILANO

Cantantesse si nasce. E domani il ritorno di Carmen Consoli al Carroponte di Sesto scuote i torpori di questo ultimo scampolo d’estate con le canzoni del suo ultimo album "Volevo fare la rockstar". Con lei una band di sette elementi che vede Antonio Marra alla batteria, Marco Siniscalco al basso, Massimo Roccaforte alle chitarre, Adriano Murania al violino, Emilia Belfiore al violino, Concetta Sapienza al clarinetto e Elena Guerriero al pianoforte.

Carmen, questo concerto è l’occasione per dare sfogo alle «due donne di 24 anni» che convivono in lei?

"Vero che mi porto dentro due donne di 24 anni e spero di poter essere sul palco tra 24 anni e dare, così, spazio ad una terza. Sono contenta di aver fatto outing ed essere riuscita ad esprimere il mio lato rock, quello sinfonico e quello folk. Sono convinta che fra 24 anni la terza donna avrà nei suoi concerti anche delle nuove sonorità che andrò a scoprire nel frattempo, seguendo sempre il mio cuore".

Il Carroponte è l’ultima tappa di questo tour. Poi, cosa l’aspetta?

"Devo preparare con Marina Rei il tour a due, batteria e chitarra, che porteremo in Sudamerica. Lo proveremo a Puntalazzo, sulle pendici dell’Etna. Cinque date a novembre tra Argentina e Perù che ci vedranno in scena a Bahia Blanca, Buenos Aires, Cordoba, Rosario e Lima".

Folgorata sulla via del rock da «Flaming Star» che impressione le ha fatto «Elvis» di Baz Luhrmann?

"Non l’ho ancora visto. Ho i miei tempi. Ricordo ancora, però, il pianto disperato quando, rapita dalle sue canzoni, scoprii che era morto già da un pezzo. Ero una bambina".

«Volevo fare la rockstar, difendere Caino e affrontare l’Uomo Nero» dice la canzone. Di uomini neri ce ne sono diversi in circolazione.

"L’altro giorno Orban diceva che il problema sono le donne laureate, perché dovrebbero tornare a casa a fare figli. Quando ho letto questa cosa mi sono detta: che bei venti tirano in Europa".

Ha vinto il Premio di Amnesty International con una canzone sul sovranismo, tema su cui in giro sembra esserci un certo disinteresse.

"È la fatalità verdiana. La forza del destino. C’è un lavoro profondo da fare sulla conoscenza di questo nostro paese. Francis Bacon diceva che la cultura, la conoscenza, sono l’unico dominio dell’uomo. L’uomo tanto può, quanto sa. Proprio la conoscenza gli consente di scegliere. E invece, da noi, la cultura viene bistrattata, mortificata. Nella scelta tra canna da pesca o pesce. Oggi ci si butta tutti sul pesce".

Come ha fatto conoscere Milano a suo figlio Carlo Giuseppe?

"Attraverso i parenti, che sono distribuiti tra Treviso e Milano. A Milano quando ci vivevo io, a metà degli anni Novanta, c’era la nebbia. Oggi no. E mi spiace un po’ che mio figlio l’abbia scoperta così, senza quell’odore un po’ ferroso che per una siciliana in trasferta come me era qualcosa di affascinante. Quella che è rimasta, invece, è l’apertura europea della città, la capacità d’innovazione, ma anche il fascino luoghi speciali come Parco Sempione, la Rotonda della Besana o le memorie leonardesche sparse qua e là".

 

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