Incontro con i Baustelle, la nostra musica (non solo) pop

L’intervista nella redazione de “Il Giorno”

Claudio Brasini Francesco Bianconi e Rachele Bastreghi

Claudio Brasini Francesco Bianconi e Rachele Bastreghi

Milano, 24 marzo 2018 - Sequel di successo. «È nato un po’ in corsa, mentre eravamo in tour per presentare l’altro», spiegavano ieri Francesco Bianconi, Rachele Bastreghi e Claudio Brasini nella redazione de “Il Giorno” a proposito de “L’amore e la violenza Vol. 2”, il nuovo album dei Baustelle nei negozi per dare continuità al primo capitolo. «Il tema è l’amore, trattato possibilmente in maniera un po’ meno convenzionale del solito. Il nostro intento è cercare angolazioni e punti di vista diversi». Tutto nell’attesa di presentarsi in concerto all’Alcatraz il 15 aprile.

Il Volume 1 l’avevate definito “oscenamente pop”.

Bianconi: «Ma noi siamo da sempre oscenamente pop. Ci piace il pop; non tutto, ma i Beatles e i Beach Boys sì».

Dopo un album complesso e un po’ cupo come “Fantasma” il divertimento sembra avervi preso la mano.

Bianconi: «Si tratta di complessità diverse. “Fantasma” è stato un disco importante per noi, perché radicalmente diverso da quanto fatto fino a quel momento, con la cosiddetta forma-canzone forzata, cancellata, vestita di strumentazione inusuale, con una grande orchestra. Ma anche i due volumi de “L’amore e la violenza” sono molto strutturati, sebbene usino codici diversi. Ce la teniamo cara la nostra complessità perché la musica facilmente decodificabile è solitamente musica pop usa e getta. Quella che dura un’estate o il tempo di una doccia». Brasini: “Diciamo che ci piace la musica semplicemente complessa”.

Cos’è cambiato rispetto al passato?

Bastreghi: «Scriviamo sempre, ma poi le canzoni rimangono solitamente lì da una parte a decantare per un po’ di tempo. Stavolta invece, forse per la continuità che avevano con quelle del Volume 1, abbiamo sentito l’urgenza di tirarle fuori subito».

Nelle vostre canzoni c’è spesso un pensiero profondo, a volte una critica anche dura come nel caso, ad esempio, de “Gli spietati”. C’è una luce, una speranza, anche al di là dell’amore?

Bianconi: «Una speranza c’è sempre. Le canzoni dei Baustelle, anche di critica sociale, cercano sempre uno sguardo alto. A me piace essere politico, ma nel senso più nobile del termine. Con più filosofia. E i nomi sono usati più in senso pittorico che altro; in funzione lessicale al servizio del suono e della melodia. Considero “Gli spietati” una canzone buddista più che di critica sociale».

È ipotizzabile un terzo capitolo?

Bianconi: «Al momento la chiuderei anche qui. Anche se c’è ancora tanto da esplorare, perché “L’amore e la violenza” è un titolo che avremmo potuto dare a tutti i nostri dischi incisi finora. Io personalmente ho voglia di cambiare direzione».

“Caraibi” risale ai tempi di “Sussidiario illustrato della giovinezza”.

Bianconi: «Quel pezzo è un caso veramente incredibile. Io sono della teoria secondo cui tutto quel che rimane nel cassetto è giusto che ci sia rimasto. E invece quel pezzo è l’eccezione che conferma la regola. L’abbiamo scritta subito dopo “Sussidiario” poi scartato da “La moda del lento” perché le versioni fatte all’epoca non ci soddisfacevano, poi riarrangiato per “La malavita” e nuovamente scartato. Dopo due bocciature non sembrava destinato ad avere un ulteriore appello. E invece suonandolo nei ritagli di tempo, mi sono detto: non male».

Cosa vi ha convinto stavolta?

Bianconi: «Forse il fatto che non me ne fossi dimenticato».

Quanto ci avete messo ad incidere l’album?

Brasini: «Due mesi, un lampo se si pensa che noi di solito sulle nostre canzoni ci pensiamo e ci ripensiamo, lasciando passare tra un disco e l’altro anche tre-quattro anni».

Il libro, il film e la musica che vi hanno cambiato la vita.

Brasini: «Il libro: “La strada” di Cormac McCarthy”». Bianconi: «Il film: “Guerre stellari” di George Lucas». Bastreghi: «La musica: quella di Ennio Morricone».

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