Ale e Franz a teatro: "Tornare a Milano. E vedere gli amici seduti in platea"

'Tanti lati–latitanti', successone nonostante il titolo scioglilingua, va in scena al Teatro Nuovo

Ale e Franz

Ale e Franz

Milano, 22 ottobre 2017 - Una ragantela d’incontri. Come fossero quadri di un’esposizione. Dove si racconta (e si ride) di come siamo. Nessuno escluso. D’altronde sono anni che Ale e Franz osservano il mondo e lo portano sul palco. Così nasce la loro comicità. Senza snobismi. O volgarità. E ogni nuovo lavoro fa saltare i botteghini. Come il recente «Tanti lati–latitanti», successone nonostante il titolo scioglilingua. Scritto dagli stessi Alessandro Besentini e Francesco Villa insieme ad Antonio De Santis e al regista Alberto Ferrari, lo si vede da martedì prossimo a domenica al Teatro Nuovo.

Ale, a che replica siete?

«Credo ormai quasi 200».

In pratica il vostro minimo sindacale.

«Sì, arriviamo piuttosto collaudati. Poi c’è il piacere di tornare a Milano, vicini a casa, con gli amici che ci vengono a vedere».

È sempre il teatro il vostro grande amore?

«Direi di sì, il teatro e il cinema. Sono luoghi dove sappiamo di poter lavorare con grande precisione, sui dettagli. Nel caso poi del palcoscenico hai anche il riscontro immediato, sai subito il risultato».

Quando avete cominciato facevate tutt’altro.

«Franz era operatore in un centro per disabili, io ero in fabbrica. Piano piano ci siamo staccati dai rispettivi lavori, abbiamo visto che la gente ci seguiva e che iniziavano a pagarci. A un certo punto ci sono cascati tutti…».

Ci credeva già allora?

«Sempre. E tantissimo. Ti aiuta l’incoscienza giovanile».

Com’è lo spettacolo?

«È composto da tanti quadri, una lunga serie di incontri. Per fare degli esempi, c’è un tizio che vuole scassinare le offerte in chiesa e poi si accorge di non essere solo, due vecchietti, due amanti che si rincontrano dopo vent’anni. Raccontiamo di tanti aspetti dell’essere umani che cambiano, tornano, latitano appunto…».

Alla fine ridete sempre dell’essere umano.

«Sono i vizi e le virtù di tutti noi. Ma poi ci piace esasperarli, portarli all’eccesso per vedere che cosa succede. Oppure, al contrario, renderli minuscoli. È questo l’esercizio che facciamo in scena».

Maestri?

«Sicuramente Paolo Rossi. Ma anche Jannacci con la sua ironia che in parte riproponiamo insieme all’eredità di Gaber con «Nel nostro piccolo», che da gennaio riporteremo in tournée».

E a lei invece cos’è che la diverte?

«Quello che riesce a sorprendermi, in ambito comico ovviamente....».

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