"Noi, in viaggio per chi è in fuga da Kharkiv"

Guglielmo e Laura, studenti della Statale, al confine tra Slovacchia e Ucraina con altri quattro giovani per aiutare l’Ong Emmaus

Profughi ucraini in fuga verso l'Unione europea

Profughi ucraini in fuga verso l'Unione europea

Milano -«Mi sono svegliato come tutti il 24 mattina, sentendo l’urto di guerra che scoppia, il senso di paralisi improvvisa e la grande domanda: come dare il mio contributo?». Guglielmo Mina ha 22 anni, è al quarto anno di Filosofia all’università Statale di Milano, è presidente della conferenza degli studenti e rappresentante in Cda. Si è messo in viaggio per quattro giorni e quattro notti con altri sei giovani, arrivando sul confine tra Slovacchia e Ucraina. «Mi ha chiamato un’amica, Laura, appassionata di cultura russa e studentessa di Lettere alla Statale – spiega Mina –, aveva incontrato le ragazze della Ong Emmaus, che opera a Kharkiv. Era stata per un periodo lì». La responsabile del centro, Elena Mazzola, si era convinta a tornare in Italia, portando in salvo bimbi, ragazzi e donne del gruppo e coordinando gli aiuti da qui. L’Ong si occupa di accogliere e offrire progetti educativi a persone che escono senza nulla dagli orfanotrofi e a ragazzi con disabilità.

«È stata organizzata una spedizione di punto in bianco», racconta Guglielmo. Sono partiti da Milano in sei «perfetti sconosciuti», diventati compagni di viaggio e di vita, a bordo di tre auto. «All’inizio credevamo che il viaggio sarebbe durato un giorno, che li avremmo recuperati a Budapest, ma la situazione era complicata e così ci siamo messi in viaggio verso la Slovacchia». Tappa Kosice, a un’ora dal confine con l’Ucraina, mentre il gruppo di Emmaus cercava di sconfinare. «Ore e ore di trepidazione per la sorte di chi era dall’altra parte – ricorda lo studente milanese –, per due giorni e mezzo loro sono rimasti in fila, al freddo, con un bimbo di tre mesi. La popolazione ucraina cercava di aiutarli come poteva». All’alba del quarto giorno, alle 4.30, erano più vicini alla frontiera. Il gruppetto di lombardi è quindi ripartito, fermando le auto a pochi chilometri; Guglielmo e alcuni amici hanno proseguito a piedi. «Un ragazzo di 18 anni non è stato lasciato passare e la madre ha voluto restare con lui – racconta Mina –. Vedi questi bimbi uscire tenendosi stretto un peluche, donne e anziani carichi di bagagli. Hai l’idea dell’intera società in fuga, estrazioni sociali diverse accomunate dalla tragedia». Nel loro gruppo c’erano disabili, hanno trattato con la polizia per riuscire ad avvicinarsi con le auto. 

«In questa vicenda drammatica, ho visto fiorire incontri umani, dall’amica che mi ha invitato a unirmi a persone sconosciute in questo viaggio alla popolazione slovacca che ospita in casa i profughi e li aiuta a trovare alloggio – commenta Mina –. Ci sono Stefania e Jan, giovani sposi, che hanno chiesto il permesso al lavoro e ogni giorno fanno la spola per aiutare chi sconfina: lui prende i bagagli, lei si prende cura dei bambini. C’è una mobilitazione di popolo, che nasce dal basso». Ha guidato fino a casa Guglielmo, avvolto dal silenzio intenso e da quei volti «che raccontavano la densità del dramma che stanno vivendo, con i loro cari sotto le bombe». A Budapest hanno fatto salire sulle loro auto altre due donne in fuga: la mamma aveva fatto la baby sitter in Italia, è partita con la figlia trentenne. Oggi il gruppetto di Emmaus è in una casa di accoglienza nella bergamasca, Elena Mazzola si è rimessa subito al lavoro per chi è rimasto a Kharkiv. «Dietro i numeri, le statistiche, i bollettini che leggiamo ogni giorno rivedo quei volti, un universo di storie umane – conclude Guglielmo –: da un lato mi si spezza il cuore, dall’altra mi commuove la mobilitazione gratuita di persone che vanno incontro all’altro per il solo fatto che c’è, che è umano come loro. In questa gente gratuitamente al servizio c’è il potere positivo che permette alla storia di andare avanti, unica vera iniziativa che rompe la logica della guerra».   

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