Demetrio Stratos, "Lo show per salvarlo diventato alla memoria"

Il ricordo di Patrizio Fariselli che ha condiviso con Demetrio Stratos l’avventura degli Area

La copertina di un disco degli Area

La copertina di un disco degli Area

Milano, 10 giugno 2017 - Patrizio Fariselli, ha condiviso con Demetrio Stratos l’avventura degli Area. Come vede l’idea d’intitolargli una via

«È una cosa che fa un enorme piacere. Perché è molto significativo che una città importante come Milano intitoli una strada ad un musicista che non viene dall’accademia, non legato in qualche modo alle istituzioni, ma ricordato per il suo talento e per il suo genio. Noi tre “sopravvissuti” (Paolo Tofani e Ares Tavolazzi, ndr) martedì ci saremo e ci saranno pure, credo, i figli di Giulio Capiozzo (il batterista della band scomparso nel 2000, ndr)».

Il termine «sopravvissuti» dà qualche brivido.

«Diciamo che la sorte s’è accanita abbastanza pesantemente sugli Area, basta pensare al lancinante addio di Demetrio e di Giulio, ma pure quello - non meno doloroso - ad un’altra colonna storica del gruppo come Gianni Sassi, che oltre ad essere il nostro discografico scriveva pure i testi, e ancora quelli ad Victor Busnello, il sassofonista di “Arbeit macht frei”, o, ancor più di recente, a Larry Nocella, fiatista nella formazione di “Tic & Tac”».

Alla fine a Palazzo Marino qualcuno s’è ricordato di voi.

«Come credito istituzionale rimaniamo probabilmente dei musicisti “borderline”, ma in questa scelta l’amministrazione è stata veramente illuminata. Penso che l’assessore Filippo Del Corno c’entri molto. E avere alla cultura un compositore di musica contemporanea con uno spirito intelligente e fresco, attento ai veri fermenti del Paese e non solo a quelli accademici, come lui, è molto importante».

Quanto è rimasto della Milano di quei tempi?

«Penso proprio niente. Negli anni Settanta pensavo che non avrei potuto vivere da nessun’altra parte, perché la Milano di allora era un posto veramente potente, ricco di grandi fermenti, mentre oggi preferisco un paesino di provincia dalle parti di Saronno. Siccome le cose sono cicliche, mi auguro però che Milano torni presto al prestigio che merita, tanto per la qualità della proposta artistica che per quella del dibattito sociale».

Una strada che attraversa un parco evoca grandi spazi. L’animo di Demetrio era così o aveva una natura più intimamente metropolitana?

«Quando sei attorno ai venti-trent’anni, nel pieno della tua attività creativa, il tuo posto naturale è quello dove puoi operare, quindi direi l’aspetto urbano».

Pensare a Demetrio e a Milano significa ricordarsi innanzitutto del grande omaggio tributatogli nel ’79 all’Arena Civica dalla città e dalla musica italiana.

«È stata una delle grandi beffe della mia vita, visto che organizzammo tutto per pagargli le costosissime cure in un centro specializzato di New York, ma purtroppo lui se ne andò proprio il giorno prima dello show, trasformandolo da concerto della speranza in evento commemorativo. Un esempio di solidarietà straordinario, però».

Se l’Arena Civica o il Parco Lambro sono posti topici per la storia degli Area, quali sono gli altri?

«Il Parco Ravizza, ma pure il Palalido, il Teatro Tenda di Piazzale Cuoco, dove tenemmo due o tre concerti importantissimi per la nostra carriera, quel Teatro Uomo nato nei locali dell’ex-Cinema Adriano e poi chiuso, o un altro illustre palcoscenico che non c’è più come quello del Teatro di Porta Romana».

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