Valvola aortica "sbagliata": medico a giudizio

Per la Procura la sostituzione di una protesi non adatta provocò la morte di un paziente del Monzino

medici al lavoro (repertorio)

medici al lavoro (repertorio)

Milano, 18 gennaio 2021 - Un centro d’eccellenza come il “Monzino“, un esperto cardiochirurgo docente universitario, un paziente deceduto per quello che i consulenti della Procura ritengono un errore grave. Il risultato è un processo che si apre in settimana, dopo che il medico imputato per omicidio colposo ha chiesto di essere giudicato con l’ “immediato“, senza nemmeno passare dall’udienza preliminare. Si annuncia una battaglia di periti. La storia è una di quelle che raccontano i viaggi della speranza, quando malati residenti in una regione del sud salgono in Lombardia nella speranza di trovare un’assistenza sanitaria al massimo delle possibilità, come spessoo in effetti capita. Poi purtroppo ci sono pellegrinaggi che finoscono male, come in questo caso. A perdere la vita, all’inizio di ottobre di quattro anni fa, fu un uomo di 67 anni residente nel Tarantino. Il suo problema era la valvola aortica, gravemente insufficiente nel funzionamento. Era necessario sostituirla.

Ed è quello che avvenne il 22 settembre 2017, con un delicato intervento chirurgico svolto a cuore aperto per rimpiazzare la valvola non più funzionale con una protesi. Nel corso dell’operazione, però, sarebbbe stata inserita una valvola artificiale di dimensioni tali da non poter essere tollerata dalla struttura aortica del malato, particolarmente fragile. Nel capo d’imputazione si parla di "presenza di tessuto aortico perivalvolare caratterizzato da fragilità a causa delle caratteristiche anatomiche di tipo degenerativo del paziente". E tuttavia, secondo l’accusa, il cardiochirurgo avrebbe comunque proceduto "all’inserimento di una protesi “25”, sovradimensionata rispetto alle dimensioni dell’aorta del parziente (sottile, oltre che fragile)". Stando infatti ai consulenti della Procura, le conseguenze letali per il malato si sarebbero potute evitare con l’inserimento di "una protesi “23”, sottodimensionata ma comunque più adeguata alle caratteristiche del vaso". Sempre secondo l’accusa, infatti, l’inserimento della “25“ avrebbe avuto come conseguenza quella di sottoporre "i tessuti già fragili ad ulteriore stress e favorendo, in tal modo, la lesione iatrogena del tessuto aortico, con conseguente sanguinamento".

L’operazione infatti non andò bene. Nel senso che il 67enne non si riprese realmente, ed anzi ebbe necessità, qualche giorno dopo, di un secondo intervento chirurgico che venne condotto sempre dal professore. "Un intervento di revisione (...) che però - è l’accusa - non consentiva di prevenire il progressivo deterioramento delle condizioni cliniche". Fino all’inevitabile decesso.  

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