Il vaiolo delle scimmie accelera: in Lombardia casi quasi raddoppiati in 3 settimane

Censiti 185 infettati a lunedì, + 80% dal 28 giugno. Tre su quattro vivono nel Milanese. Sono tutti maschi, il 79% ha da 30 a 49 anni

I test di laboratorio per individuare il vaiolo delle scimmie

I test di laboratorio per individuare il vaiolo delle scimmie

Milano - Lunedì scorso erano arrivati a 185 i casi di vaiolo delle scimmie contati in Lombardia dall’inizio della sorveglianza su questo virus, col primo contagiato scoperto all’ospedale Sacco il 24 maggio. L’ultimo report dell’assessorato regionale al Welfare certifica che le infezioni sono quasi raddoppiate (+80%) in tre settimane, dalle 103 che erano state censite al 28 giugno, durante il primo mese di monitoraggio. E dopo un primo “picco“ di casi registrato a metà giugno, ce n’è stato un altro intorno al primo weekend di luglio, con una trentina di contagiati scoperti tra sabato 2 e martedì 5. Per il resto , la casistica delle infezioni non è cambiata: i contagi “autoctoni“, cioè presumibilmente avvenuti in Italia, ormai doppiano (114 a 55, più 16 non definiti) quelli collegabili al "cluster estero", che prevalevano solo all’inizio, fino a fine maggio; i contagiati sono sempre praticamente tutti maschi (184 su 185, per uno le informazioni su sesso, età e residenza non erano ancora state segnalate al momento della rilevazione), e più di metà (97 persone) ha tra 30 e 39 anni. Aggiungendo i quarantenni (altri 50 contagiati) si sfiora l’80%, mentre i ventenni sono appena 19 (il 10%), i cinquantenni 16 (il 9%) e si sono aggiunti due sessantenni.

Non è cambiata neppure la distribuzione geografica dei casi: il 73%, cioè quasi tre su quattro dei lombardi infettati dal monkeypox , sono residenti nell’Ats Metropolitana (e segnatamente nella provincia di Milano), che in tre settimane li ha visti raddoppiare, dai 63 censiti il 24 giugno a 135. Il nuovo report fornisce anche una ricognizione dei sintomi manifestati dai lombardi colpiti dal vaiolo delle scimmie, e il più diffuso è il rash cutaneo (cioè le vescicole il cui liquido ad altissima carica virale, attraverso il contatto con la pelle, con gli indumenti o con le lenzuola utilizzate da un infettato, rappresenta il principale veicolo di contagio insieme alle goccioline di saliva trasmesse con contatti ravvicinati e prolungati con altre persone): è stato segnalato nel 93% dei casi (172 su 185), mentre il 58% (107 persone) ha avuto la febbre; quanto all’ingrossamento dei linfonodi, il 44% l’ha manifestato e il 56% no.

I numeri lombardi sostanzialmente confermano l’evoluzione internazionale dell’epidemia, che ha superato ormai i 13 mila casi nel mondo di cui più di metà (oltre settemila) nell’Ue, che ha visto un aumento del 50% nell’ultima settimana, ha spiegato la commissaria europea alla Salute Stella Kyriakides dicendosi "preoccupata" e comunicando che l’autorità europea per le emergenze sanitarie Hera ha appena acquistato altre quasi 55 mila dosi di vaccino che porteranno il totale a 163.620, di cui oltre 25 mila già distribuite a sette Stati membri inclusa l’Italia che ne ha avute 5.300.

Il nostro Paese , benché all’inizio non fosse tra i più colpiti, lo è diventato, spiegava una settimana fa Massimo Andreoni, primario di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Società italiana di Malattie infettive e tropicali, contando quasi 40 contagi al giorno e 292 pazienti accertati al 14 luglio. E benché l’Oms, a fine giugno, avesse rinunciato a dichiarare il monkeypox "emergenza di salute pubblica di portata internazionale" (il comitato deputato ora è stato riconvocato per valutare di nuovo questa possibilità), "si tratta della più grande epidemia registrata al di fuori delle nazioni africane, dove la malattia è endemica", ricordava l’infettivologo. Anche perché i casi reali "sono almeno tre-quattro volte di più" rispetto alle segnalazioni, twittava ieri il suo collega del San Martino di Genova Matteo Bassetti, che ritiene sia ormai "persa la possibilità di contenere il vaiolo delle scimmie, che è ormai un fenomeno endemico". Non più solo in alcune zone dell’Africa centrale e occidentale, ma anche da noi.