Milano, mandano in coma un uomo: incastrata baby gang

Un anno fa il raid a pugni e ombrellate. Nei guai tre minori e un 18enne

Carabinieri sul luogo dell’aggressione

Carabinieri sul luogo dell’aggressione

Milano, 24 maggio 2018 - Marino è in coma da quel giorno. Ormai è passato un anno, e lui non si è mai risvegliato. Vittima di un’aggressione insensata quanto brutale, portata a termine da quattro ragazzini, alcuni dei quali vivono nel suo stesso stabile. Secondo quanto risulta al Giorno, i carabinieri sono riusciti a dare un nome e un cognome a tutti i componenti del branco: si tratta di tre minorenni italiani di età compresa tra 15 e 16 anni e del capo della baby gang, l’unico maggiorenne, un 18enne di Bollate con padre ecuadoregno e madre peruviana; l’accusa è quella di lesioni gravissime.

Torniamo alla tarda serata del 12 maggio 2017. Stando alla ricostruzione dei militari del Nucleo operativo della Compagnia Porta Magenta, guidati dal capitano Fabio Manzo e dal tenente Alfonso Sammaria, l’impiegato di 56 anni torna a casa poco prima di mezzanotte: è uno degli abitanti del complesso con villette a schiera realizzato lì dove una volta sorgevano le Cartiere Binda. Nel parchetto c’è un gruppetto di ragazzi, circa una decina tra maschi e femmine: alcuni vivono da quelle parti, altri ci passano per unirsi agli altri amici e fare serata. Sgasano coi motorini, fanno baccano, spesso infastidiscono i residenti del quartiere. A un certo punto, accerteranno poi gli investigatori, Marino si para davanti a uno scooter impugnando il suo ombrello: non vuole far male a nessuno, vuole solo fare una ramanzina a quei baby balordi. Il conducente del motorino perde l’equilibrio e rovina a terra, portandosi dietro pure il passeggero. Gli animi si accendono all’improvviso. I due e un altro amico riescono a impossessarsi dell’ombrello e iniziano a colpire il 56enne. Poi sulla scena si materializza il leader riconosciuto della comitiva, il 18enne E.S., che si fa largo e, secondo l’accusa, sferra un pugno a Marino. L’uomo cade all’indietro e batte la nuca sul selciato. I ragazzi spariscono in pochi secondi, lasciando la vittima a terra. Alcuni testimoni allertano i soccorsi: i primi ad arrivare sono due militari della pattuglia mobile di zona della Magenta; e sarà proprio uno di loro, l’appuntato Paolo Romano, a prestare a Marino il primo aiuto, praticandogli la manovra di rianimazione. Il resto lo fanno i sanitari del 118, che caricano l’uomo in ambulanza e lo trasportano d’urgenza all’Humanitas di Rozzano: non risulta che da quel giorno il 56enne abbia mai ripreso conoscenza.

L’inchiesta parte in quei minuti. Dalle telefonate al 112 si riesce rapidamente a risalire alle persone che hanno assistito dal vivo al raid. È la prima svolta: una di loro ha avuto la prontezza di fotografare il motorino «incriminato»; gli accertamenti sul tipo di veicolo portano i militari sulle tracce del giovanissimo proprietario, e dal suo profilo Facebook si giunge all’identificazione degli altri presenti quella sera. Fanno tutti parte di un gruppo Whatsapp: sono in undici e dialogano in una lingua tutta loro, una sorta di codice che i carabinieri, coordinati dai pm Bianca Maria Baj Macario e Myriam Iacoviello (per la Procura minorile), impiegano poco a decifrare. In sostanza, si scrivono parole con le sillabe invertite, «Drepa» al posto di «Padre» per intenderci, nella speranza di tenere celate le loro conversazioni. Tutto inutile: per i militari, quattro di loro sono i responsabili del blitz. E ora dovranno risponderne.

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