Università in Lombardia, si torna tutti in presenza: "Addio lezioni in streaming"

Gli atenei della regione compatti sul rientro in aula a settembre. Il rettore della Statale Franzini: "Pronti in caso di focolai, ma la dad è finita"

Elio Franzini

Elio Franzini

Milano - "Il sistema lombardo ha scelto la presenza piena: a settembre abbandoneremo lo streaming". Elio Franzini, rettore della Statale di Milano, è al timone del Comitato regionale di coordinamento delle Università lombarde.

Addio Dad e modalità mista? "Sì, ovviamente pronti in caso di focolai e senza buttare quanto abbiamo imparato in questi anni. Ma sull’addio allo streaming siamo tutti concordi".

Per smuovere anche chi in università non ci veniva più? "C’è chi si era “abituato“ e di fatto non frequentava più. Crediamo invece sia il momento di tornare, per questo tutti abbiamo ritenuto ragionevole l’abolizione dello streaming. Ci sono differenti atteggiamenti invece in relazione alle registrazioni delle lezioni, che alcuni manterranno in maniera occasionale e transitoria".

E per gli studenti lavoratori? "Ovviamente non ci dimentichiamo di loro, come pure dei progressi fatti con la tecnologia e continueremo a sperimentare: in due anni e mezzo, da autodidatti, siamo passati dal nulla alla prima elementare".

A proposito di scalate, puntuale a Ferragosto è arrivata la classifica Arwu, col suo strascico di polemiche: da Shanghai le università italiane si vedono solo col binocolo, La Sapienza è sola nella top 150, nella fascia dal 151 al 200 ecco spuntare la prima milanese, la Statale. "Io continuo a pensare che il valore medio delle università italiane sia più che soddisfacente. Se si considerano il numero di università censite (2.500) e quelle presenti nel mondo (oltre 18mila) essere al 150esimo posto è di tutto prestigio. Non solo, se si comparano poi i finanziamenti alla ricerca delle università che sono storicamente nei primi 10 posti, direi che gli atenei italiani fanno miracoli... Quindi con questi limiti, senza incensarci e lodarci, le polemiche ci stanno, ma non tengono conto di tanti fattori".

Quali? "Ovviamente queste classifiche vanno sempre prese con le molle, non guardano il valore del patrimonio università nella sua interezza, concentrandosi sulla ricerca e non fotografando didattica, servizi, performance anche sul piano dell’occupabilità. Concentrandosi su citazioni scientifiche, non si tiene poi molto conto del valore delle scienze umane e sociali. Non vengono valutate nicchie di eccellenza. E, come dicevamo, il sistema universitario italiano era altamente sottofinanziato, abbiamo invertito la rotta solo negli ultimi due anni".

Quando si vedranno gli effetti? "Nei prossimi 4-5 anni, il Pnrr sarà una leva".

È al sicuro? "Per quel capitolo i fondi sono stati già assegnati. Sarebbe autolesionistico bloccare tutto, indipendentemente dallo scenario politico che si creerà a settembre".

Dopo il Pnrr si punta alla top 100? "L’obiettivo è migliorare sempre. La classifica si può anche scalare con 4-5 ricercatori “top“, ma credo che sia più importante far crescere la comunità, dando alle persone più giovani le condizioni e gli strumenti per fare ricerca scientifica di qualità".

Ricerca a parte, c’è un’altra partita: quest’anno le immatricolazioni sono andate a picco, ad eccezione di Milano. "È l’onda lunga del Covid: il sistema universitario riflette la crisi sociale. Era inevitabile che si verificasse. Io credo però che ci sia un aspetto da monitorare ancora di più rispetto al dato delle immatricolazioni: quello della dispersione. Dobbiamo aumentare non tanto gli iscritti ma il numero degli studenti che arrivano alla laurea. E l’unico modo è potenziare l’orientamento, usarlo molto bene prima e dopo l’iscrizione, e indagare anche i motivi di chi abbandona gli studi".