Veronesi, "Si è spento sereno e senza rimpianti. Seguo il suo esempio ma non sono lui"

Il ricordo del figlio Paolo: mi ha insegnato ad ascoltare gli altri

Paolo Veronesi

MILANO 13/11/2015 - UNIVERSITA BOCCONI - 7 CONFERENZA MONDIALE SCIENCE FOR PEACE - PAOLO VERONESI - FOTO CHIOCCIA/NEWPRESS PER FACHIN LUCIDI TOGNOLATTI.

Milano, 9 novembre 2016 - «Ora tocca a me, dice? Io faccio lo stesso mestiere di mio papà e faccio sempre del mio meglio. Ma io non sono lui». Parole scandite con amore di figlio, quelle di Paolo Veronesi. Professore in Chirurgia all’Università Statale e direttore in Senologia Chirurgica all’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo), Paolo è, tra i sette figli di Umberto, quello che ne ha seguito la vocazione.

Suo padre se n’è andato sereno? «Assolutamente sì: sereno e senza rimpianti. Conscio di aver fatto tutto quello che doveva fare. E questo, per noi, è di grande conforto. Dagli esami non è mai emerso nulla di particolare, nessuna malattia specifica... negli ultimi due mesi ha via via perso lucidità».

In ossequio ai suoi 91 anni... «Sì, l’età...».

Sua madre come sta? «Mia madre gli è stata vicino fino all’ultimo, non lo ha mai lasciato solo neanche un minuto e ora avverte un grande vuoto. Papà ha voluto morire nel suo letto, ha sempre rifiutato il ricovero in ospedale. Lui era così, a lui piaceva passare del tempo in casa circondato dalla sua famiglia: siamo in sette fratelli e gli abbiamo dato 16 nipotini. Lui amava stare con noi, inparticolare la domenica».

Le ultime parole che suo padre le ha detto? «Negli ultimi due giorni papà non ci riconosceva più e quindi non era possibile dialogare. Ma quello che più mi piaceva di lui, quello che fin da piccolo mi ha sempre reso felice di trascorrere del tempo insieme a lui, era proprio il fatto che avesse sempre qualcosa da dire e una grande capacità di ascoltare. Ci ha sempre spronato a essere critici, a non fermarsi mai ai risultati raggiunti ma ambire, invece, ad andare oltre. Queste sono le qualità e l’insegnamento che conserverò sempre».

Tra le battaglie da lui combattute, quale lo rendeva particolarmente orgoglioso? «Guardi, mio padre era orgoglioso della sua famiglia, della sua Fondazione, del suo Istituto Europeo di Oncologia e di quello che ha fatto per le donne, per tante donne».

Il ricordo più bello che conserva di suo padre? «In questo momento non me ne viene in mente uno in particolare. Ricordo come ero contento quando, da piccolo e da adolescente, potevo passare un po’ di tempo con lui. Perché aveva sempre qualcosa da dire e sapeva ascoltare».

Ora tocca a lei portare avanti la missione di papà... «Io ho seguito la sua vocazione ma... io non sono lui». giambattista.anastasio@ilgiorno.net

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