Strage al tribunale di Milano: "Mio figlio ucciso per niente"

Il grido del padre di Lorenzo Claris Appiani, il legale freddato da Giardiello in Tribunale: sui controlli non è cambiato nulla

Aldo Claris Appiani durante un'iniziativa in memoria del figlio ucciso

Aldo Claris Appiani durante un'iniziativa in memoria del figlio ucciso

Milano, 25 gennaio 2020 - Il raid omicida di Claudio Giardiello "non ha insegnato niente". Sul fronte della sicurezza a Palazzo di giustizia "nulla si è mosso" dopo che l’immobiliarista fallito è riuscito a entrare armato di pistola il 9 aprile del 2015 e ha compiuto una strage. Amarezza e rabbia nelle parole di Aldo Claris Appiani, padre dell’avvocato Lorenzo Claris Appiani, ucciso assieme al giudice Fernando Ciampi e a Giorgio Erba, coimputato di Giardiello. Un episodio che all’epoca accese un faro sui controlli ai varchi del palazzo attraversati ogni giorno da centinaia di persone.

Le falle nella sicurezza sono state evidenziate anche nelle sentenze. "Sono state evidenziate ma non è cambiato nulla. Io, poi, sono convinto che Giardiello non sia entrato passando dal metal detector ma dai passaggi riservati ad avvocati, giudici e cancellieri, senza controlli. Anche per questo noi abbiamo ritirato la costituzione come parte civile nel processo a carico di Roberto Piazza (la guardia giurata che quella mattina era in servizio al metal detector all’ingresso, la Cassazione ha annullato la condanna in appello disponendo un nuovo processo a Brescia ndr), perché non volevamo un capro espiatorio. È tutto il sistema di sicurezza che deve essere messo in discussione". Come si potrebbe intervenire? "Servono controlli più accurati, e se mancano metal detector bisogna acquistarli. È un problema di fondi, ma anche di come i fondi vengono spesi. Ci sono sempre lentezze e ritardi, alla fine non cambia mai nulla". Intanto avete avviato una causa civile contro il ministero della Giustizia, il Comune di Milano e la società di vigilanza privata All System. "La causa inizialmente avviata a Milano è stata di recente trasferita a Brescia, dove tutto dovrà ricominciare da zero. Non ci interessano tanto i soldi quanto avere giustizia dopo la condanna di Giardiello all’ergastolo, anche sulla scorta del pronunciamento su un episodio avvenuto a Reggio Emilia. Finora non abbiamo ricevuto alcun risarcimento. Intanto ho saputo che anche la moglie di Erba ha avviato una causa civile. Per lei la morte del marito è stata anche la perdita di una fonte di sostentamento". Nel caso di sentenza favorevole come utilizzerete i fondi? "Abbiamo tanti progetti con l’Unione Nazionale Vittime, che si occupa di assistere persone vittime di reati violenti. Vogliamo portare avanti l’impegno a favore dei più deboli, delle persone come noi abbandonate dallo Stato". Dopo quello che è successo come è cambiato il vostro rapporto con la giustizia? "Prima, finché uno non è coinvolto, sono temi che sembrano lontani ed estranei. Tragedie come quella che è capitata a noi, però, possono capitare a tutti. E quando succede si finisce in un vortice di dolore, al quale si aggiunge la sensazione insostenibile di essere abbandonati dallo Stato. Dovrebbe essere un diritto di tutti poter entrare in Tribunale senza essere uccisi, viaggiare su un ponte senza che crolli tutto. Finora la sicurezza e la tutela dei cittadini è rimasta solo uno slogan. Servirebbe un cambiamento culturale". Avete in programma nuove iniziative in memoria di vostro figlio? "Verrà intitolata a lui l’aula magna di un liceo all’isola d’Elba, poi ci sono altre iniziative in programma in vista dell’anniversario. Noi intanto continuiamo a chiedere giustizia, anche se il silenzio delle istituzioni è disarmante".  

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