Ucciso e murato in un pozzo A giudizio il sesto arrestato

Salvatore Tambè, accusato di aver partecipato all’omicidio di Astrit Lamaj l’8 novembre sarà chiamato a presentarsi davanti alla Corte d’Assise di Monza

Migration

di Stefania Totaro

Si torna alla sbarra per l’omicidio dell’albanese strangolato a morte a Muggiò e poi murato in un pozzo artesiano a Senago. L’8 novembre è chiamato a presentarsi davanti alla Corte di Assise di Monza il sesto arrestato un anno fa per la morte di Astrit Lamaj, albanese 41enne scomparso nel gennaio 2013 da Genova e rinvenuto nel gennaio 2019. Si tratta di Salvatore Tambè, 45enne di Riesi, in provincia di Caltanissetta, già agli arresti domiciliari con l’accusa di aver fatto parte dell’associazione mafiosa "Cosa Nostra" del mandamento riesino. Tambè è accusato di avere avuto il ruolo di tenere fermo la vittima mentre veniva strangolato. Mentre lui sostiene che in quegli istanti si trovava all’ufficio postale. Le indagini, coordinate dal pm della Procura di Monza Rosario Ferracane, nascono dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, Carmelo Arlotta, riesino residente a Muggiò, secondo cui l’albanese è stato attirato a Muggiò con la scusa di una compravendita di marijuana, stordito in un box e strangolato con un filo di nylon. A commissionare il delitto ai compaesani siciliani sarebbe stata Carmela Sciacchitano, 64enne residente a Genova, per vendicarsi di essere stata lasciata dall’albanese, che sosteneva le avesse anche rubato preziosi per 100mila euro.

Il Tribunale di Monza le ha inflitto in abbreviato 30 anni di reclusione, mentre le condanne a 24 anni e 14 anni di reclusione sono andate invece rispettivamente ad Angelo Arlotta e al fratello Carmelo. Tutti hanno presentato ricorso in appello e il processo di secondo grado è fissato al 10 novembre. Chiede l’assoluzione la difesa di Carmela Sciacchitano. "L’obiettivo, sin dall’inizio di questa triste vicenda, è stato quello di salvaguardare a tutti i costi la credibilità e l’attendibilità del collaboratore di giustizia su cui aveva fatto ampio affidamento il lavoro degli investigatori - scrivono i difensori della donna nei motivi di appello -. Purtroppo tutto ciò avviene a discapito di una donna, ingiustamente in carcere da ormai oltre due anni, nei cui confronti è stato possibile far convergere prove anche a costo di stravolgere gli elementi raccolti, letti e interpretati unicamente contro di lei". Secondo i legali Carmela Sciacchitano "è stata travolta e schiacciata da un evento per cui non ha avuto possibilità di difendersi".

Stanno preparando il ricorso in appello anche gli ultimi due condannati dalla Corte di Assise di Monza, Francesco Serio, 45 anni di Muggiò, cugino degli Arlotta, a 3 anni di reclusione per occultamento di cadavere, e 2 anni e 8 mesi per reati di droga di cui era accusato, mentre il coimputato, Cosimo Mazzola, 54 anni di Cabiate, è andato incontro a una condanna a 3 anni per l’occultamento, oltre ai 6 anni e 6 mesi per droga. Per loro il pm monzese aveva invece chiesto rispettivamente le pene complessive di 12 anni e 8 mesi e di 14 anni e 10 mesi di reclusione, ma l’assoluzione dall’accusa di concorso in omicidio per Franco Serio, il cui nome come complice era stato fatto da Carmelo Arlotta quando aveva “vuotato il sacco” con la Procura, ma poi ritirato al processo, dove il pentito ha riferito che il cugino era rimasto sulla rampa che portava al garage dove l’albanese è stato assassinato. Nella motivazione della loro sentenza i giudici della Corte di Assise di Monza hanno evidenziato "le caratteristiche soggettive di entrambi gli imputati e la loro collocazione in una posizione di soggezione rispetto ai fratelli Arlotta, determinata da radicati sentimenti di amicizia, appartenenza e gratitudine". I due fratelli vengono accusati di avere agito in "una cornice di un clima di intimidazione costante e di crudele strumentalizzazione" nei confronti del cugino Franco Serio.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro