A Milano riparte il turismo, e anche lo sfruttamento

Schiave negli hotel, cottimo e appalti selvaggi nella città che pretende un ruolo di faro post-Covid. "Dopo due anni solo peggioramenti"

Un presidio durante la pandemia, la vertenza sul Gallia intanto si è risolta

Un presidio durante la pandemia, la vertenza sul Gallia intanto si è risolta

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Milano - I numeri del turismo a Milano si avvicinano ai livelli pre-Covid, gli alberghi tornano a riempirsi ma le condizioni di chi lavora dietro le quinte dell’accoglienza, reduce da due anni di cassa integrazione, peggiorano rispetto a quelle già critiche del 2019. Lo sfruttamento è sempre lo stesso, con in più nuovi problemi sul tavolo nella città che pretende un ruolo di faro nella ripresa. Cottimo declinato nel meccanismo della "temporizzazione" e contratti pirata anche negli hotel a 4 e 5 stelle, appalti selvaggi, flessibilità estrema e una corsa per mantenere ritmi di lavoro serrati che si ripercuote in problemi fisici e psicologici. Prima della pandemia, a Milano il settore alberghiero contava circa 30mila addetti - in maggioranza donne, fra cui molte straniere - per lo più assunti da società alle quali gli hotel appaltano servizi come la pulizia delle camere o il facchinaggio.

Lavoratori quasi completamente fermi durante la pandemia che, fra contratti a termine non rinnovati, pensionamenti e persone che si sono dimesse perché hanno trovato altri lavori, ha visto dimezzarsi gli organici. Ora, con la piena riapertura degli alberghi e il progressivo rientro dalla cassa integrazione, sono risaliti a circa 20mila, secondo stime sindacali. Per far fronte alle richieste, in alcuni casi le società fanno fatica a trovare personale. "Milano sembra non aver imparato la lezione – spiega Roberta Griffini, della segreteria milanese della Filcams-Cgil – e continua a correre a due velocità. I problemi nel settore degli alberghi che denunciavamo prima della pandemia si sono aggravati, e l’incertezza sul futuro spinge ad accettare, pur di lavorare, condizioni peggiori".

Sul banco degli imputati c’è sempre la "temporizzazione", un fenomeno "simile al cottimo": alle lavoratrici viene assegnato un numero di camere da pulire giornalmente sempre più alto a parità di ore lavorate. Massimo venti minuti per pulire una stanza, con il tempo extra che non viene pagato. "Di fronte all’incertezza gli alberghi tendono a esternalizzare sempre di più i servizi – sottolinea Mattia Scolari, della Cub – per potersi liberare più facilmente del personale nel caso di nuove chiusure. Durante la pandemia abbiamo chiesto più volte alla Prefettura di Milano di aprire un tavolo sulle condizioni di lavoro e trovare soluzioni, senza ricevere alcuna risposta. Tutto questo tempo è trascorso invano". La vertenza legata al cambio d’appalto dell’hotel Gallia si è risolta positivamente, con la maggior parte dei posti di lavoro “salvati“ dall’azienda subentrante. Altre situazioni rischiano di esplodere, mentre ogni cambio d’appalto è un braccio di ferro. L’ultimo all’Armani Hotel, dove i sindacati stanno lottando per "garantire la riassunzione alle stesso condizioni precedenti". "Uno degli escamotage che vanno per la maggiore in questo periodo – sottolinea Simonetta Sizzi, del sindacato Si-Cobas – è quello di evitare il pagamento degli straordinari con un aumento “a termine“ delle ore di lavoro nel contratto. Da quattro passano a otto al giorno ma solo fino a settembre, per il timore di nuove chiusure". Lo stipendio? Se va bene, 1.200 euro lordi al mese per un full time.

 

 

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