Milano - Ha superato i cento pazienti trattati con le cellule Car-T l’Istituto nazionale dei tumori. È "la casistica più ampia in Italia", sottolinea il direttore generale Carlo Nicora, per questa terapia genica innovativa, utilizzata per alcuni tipi di malattie oncoematologiche, che l’Int ha iniziato a somministrare cinque anni fa, tra i primi centri in Italia. Una terapia personalizzata, che si basa sull’”ingegnerizzazione” di cellule immunitarie (linfociti T) del paziente, modificandole perché siano in grado di riconoscere e combattere le cellule tumorali. Una terapia "salvavita" per pazienti "che hanno esaurito tutte le altre opzioni terapeutiche", ricorda l’ematologo Paolo Corradini, professore in Statale e direttore dell’Ematologia dell’Irccs di via Venezian. Cosa significhi esattamente aver "esaurito le altre opzioni" lo racconta Marta Bortolotto, una dei cento, tutti adulti e in gran parte con linfoma, qualcuno con mieloma. Alle Car-T dell’Istituto dei tumori è arrivata nell’estate del 2019, a 34 anni e dopo tre di lotta contro un linfoma primitivo del mediastino che era tornato dopo due remissioni ed era stato battezzato "chemio e radioresistente", quando anche l’alternativa del trapianto di midollo osseo era svanita. Marta racconta il suo viaggio tra vari stadi di consapevolezza, dalla prima chemio con l’idea di "fare in fretta" alla prima recidiva che le svela come "l’esito delle terapie non era affatto scontato" e non c’era una "data fine certa"; dalla paura "della sofferenza" provocata dalle terapie alla paura che non ce ne siano più, "di diventare una di quelle persone che lottano ma alla fine non ce la fanno". "Nella lotta contro una malattia - dice Marta nell’aula magna di via Venezian - tante cose sono indispensabili: cure appropriate, personale competente e disponibile, il sostegno delle persone che ci circondano, una grandissima tenacia ma non può mancare anche la fortuna". Che a parità di tutto il resto "fa la ...
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