Tumore al colon, scoperte cellule in grado di indicare il rischio di recidiva

I risultati della ricerca scientifica condotta dallo Ieo sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Nature Communications

L'esterno dello Ieo, Istituto Europeo di Oncologia

L'esterno dello Ieo, Istituto Europeo di Oncologia

Milano - Un gruppo di ricercatori dell'Istituto Eeuropeo di oncologia ha scoperto un nuovo fattore prognostico per il tumore del colon retto. Gli scienziati hanno individuato una popolazione di cellule immunitarie, la cui presenza più o meno importante nel tessuto tumorale contribuisce a segnalare se i pazienti, dopo l'operazione, sono ad alto rischio di recidiva e necessitano quindi di cure mirate.

I risultati della ricerca, sostenuta da Fondazione AIRC, WordlWide Cancer Research e Fondazione IEO-Monzino, sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Nature Communications. Sono state analizzate le caratteristiche molecolari dei tessuti tumorali e non tumorale di oltre 40 pazienti che hanno partecipato allo studio. Così si è scoperto che "i tumori maggiormente infiltrati da neutrofili dalla peculiare alta espressione della molecola CD15 (CD15high) - ha sottolineato Teresa Manzo, co-responsabile dello studio e a capo dell'Unità di Immunometabolism and Cancer Immunotherapy in Ieo - contengono anche molte cellule immunitarie di tipo T CD8 effettrici di memoria. Queste ultime sono solitamente associate a una efficace risposta antitumorale ma, in presenza dei neutrofili-CD15high, producono invece alti livelli di Granzima K (GZMK), una molecola in grado di rimodellare i tessuti circostanti il tumore e favorirne l'aggressività".

"Le nostre analisi - ha riassunto Silvia Tiberti, prima autrice dell'articolo - hanno dimostrato che, nei tumori colorettali, spesso i neutrofili rimangono attivi e, promuovendo la produzione di Granzima K da parte delle T CD8, rendono queste ultime pro-tumorigeniche". Ora, secondo lo Ieo, la sfida è come utilizzare questo nuovo strumento prognostico anche dal punto di vista terapeutico. "Ciò che possiamo fare da subito è mettere in regime di stretta sorveglianza i pazienti ad alto rischio - ha aggiunto Luigi Nezi, direttore dell'Unità di Microbiome and Antitumor Immunity in Ieo e co-responsabile dello studio - al fine di individuare precocemente gli eventuali nuovi focolai neoplastici. Nel medio lungo termine, invece, stiamo lavorando per poter utilizzare queste scoperte per sviluppare nuovi approcci terapeutici". 

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