Truffa sui cellulari: telefonia e scatole cinesi, più attive durante il Covid

Anche nel periodo del lockdown le società hanno fatto affari d’oro. Il picco dell’utilizzo era al pomeriggio con i giochi per i bambini

Il pm Francesco Cajani, specializzato in reati di criminalità informatica

Il pm Francesco Cajani, specializzato in reati di criminalità informatica

Milano, 6 luglio 2020 - Una delle tante società "scatole cinesi", presenti "da anni nel mercato Vas", ossia dei servizi aggiuntivi per la telefonia, avrebbe continuato ad operare, nell’ambito della maxi frode informatica scoperta dalla Procura, anche nel pieno "dell’emergenza sanitaria nazionale" per il Covid. Lo scrivono gli inquirenti milanesi in uno degli atti dell’inchiesta, dopo che già due giorni fa gli stessi magistrati avevano evidenziato che i raggiri ai danni degli utenti, che pagavano a loro insaputa servizi mai attivati, erano andati avanti anche negli ultimi mesi.

Molti Csp, ossia "content service provider", scrive il pm Francesco Cajani negli atti dell’inchiesta che vede indagati anche 3 ex dirigenti Wind, hanno "ininterrottamente continuato nel mantenere il meccanismo cosiddetto zero click", sulle "possibili attivazioni inconsapevoli", anche "durante la recente emergenza sanitaria". Tra questi provider anche "il caso di Sound Good Mobile srl, società romena che quantomeno fino al maggio 2019 era aggregata tecnicamente da Vetrya", che ora è "hub editoriale di Wind". In un’annotazione del Nucleo tutela privacy e frodi tecnologiche della Gdf vengono indicati i "numerosi collegamenti, quanto alla compagine sociale, tra diverse società tutte operanti" nel settore dei servizi aggiuntivi per telefoni. Intrecci che riguardano proprio Sound Good Mobile e altre sette società. E queste otto società, si legge ancora negli atti, tra il 2017 e il 2019 hanno incassato un totale di oltre 7,6 milioni di euro per "attivazioni di utenti Wind". Somme versate da "Pure Bross", altra società su cui si concentrano le indagini.

Il «business», come si legge in un verbale, era nato già "nel 2009" e per il quale "basta mettere qualsiasi cosa sulla landing page" di un sito, a cui si arriva tramite banner pubblicitari, "e poi il resto è fatto" con l’utente che si trova a pagare, senza nemmeno un click, servizi aggiuntivi a sua insaputa. È su questo sistema che la procura vuole vederci chiaro, sulla maxi frode informatica da decine di milioni di euro. Indagini che riguardano anche tre ex dirigenti di Wind e con accertamenti anche su Vodafone e Tim. D’altronde, scrive il pm Francesco Cajani che coordina l’inchiesta con l’aggiunto Eugenio Fusco, sarebbe "bastato, in tutti questi travagliati anni, verificare, su base mensile, quali fossero i Csp", i content service provider, "e ‘aggregatorì i cui servizi fossero in misura maggiore oggetto delle richieste di disattivazione".  

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