Milano, in tribunale scoppia un tubo: uffici allagati / VIDEO

E in vista della ripresa delle udenze dopo lo stop dei termini per il contagio, i vertici potrebbero chiedere alla Regione i test sierologici

Le stanze allagate

Le stanze allagate

Milano, 20 aprile 2020 - È la maledizione del “Palazzaccio”. A parte i contagi da virus (test sierologici in arrivo?) qualcuno comincia a pensarlo dopo che l’altro giorno al settimo piano di Palazzo di Giustizia, già devastato in parte da un incendio partito da un cortocircuito meno di un mese fa, stavolta è scoppiato un tubo dell’aria condizionata con l’acqua che ha allagato alcune stanze dei giudici filtrando al piano di sotto - il sesto - e rendendo così inagibili alcuni uffici dei pm della Dda, l’antimafia milanese. “Maledizione” legata probabilmente alla salute complessiva dell’enorme edificio costruito in marmo negli anni ’30 e “sopraelevato” di tre piani più o meno quarant’anni fa. Anche se, sottovoce,tra gli addetti ai lavori comincia a circolare (senza prove però) persino l’ipotesi del sabotaggio.

Comunque sia, resta il fatto che il disagio per magistrati e utenti del sistema giustizia si allarga, e che se per rimuovere le macerie dell’incendio è già stata individuata una ditta che, vista l’entità dell’appalto, potrà procedere in deroga alle norme ordinarie, quando verrà invece il momento di ricostruire la parte distrutta e renderla di nuovo agibile, servirà un bando internazionale gestito dal ministero di Giustiza. Più che sui mesi, insomma, si ragionerà presumibilmente su gli anni.

Intanto però, i vertici degli uffici giudiziari tentano di programmare l’immediato futuro a partire dall’11 maggio, quando dovrebbe concludersi il particolare “lockdown” della Giustizia con la fine della sospensione dei termini per i veri adempimenti dettata dal governo nel pieno dell’emergenza. E’ vero che a Milano è in vigore una direttiva della Corte d’appello per la fissazione delle udienze non urgenti oltre 31 maggio - e che in teoria fino al 30 giugno si può ricorrere quando possibile alla video-conferenza con giudici, pm e imputati - però, insomma, è probabile che fra una ventina di giorni il Tribunale possa tornare a ripopolarsi un po’.

Già domani, del resto, riprendono le prime udienze (ritenute urgenti) della sezione autonoma misure di prevenzione, dopo la guarigione del presidente Fabio Roia (il primo magistrato ad ammalarsi per il virus a Milano) e la fine della quarantena per tutti gli altri giudici della sezione. Udienze fissate però a un’ora di distanza l’una dall’altra e possibili solo nel rispetto delle dispozioni anticontagio previste dai protocolli sanitari. Quella del “distanziamento” orario dei processi potrebbe essere una delle condizioni per tutte le udienze da tenere dopo l’11 maggio, anche per evitare “assembramenti” di avvocati, imputati e testimoni fuori dalle aule. Già non sarà facile evitarli dentro, dal momento che alcune aule, per esempio quelle del piano terra, hanno dimensioni piuttosto ridotte. E, fra l’altro, bisognerà cercare di tenerle il più “pulite” possibile, dotandole magari di mascherine, gel e guanti per chi non li ha, tutte cose più facili a dirsi che a farsi e con tempi che si dilateranno a dismisura per la già non velocissima giustizia italiana. L’alternativa sarebbe il moltiplicarsi di processi in video-conferenza già molto criticati dagli avvocati penalisti e che non garantiscono certo tempi più concentrati. Anzi.

Ad ogni modo , i sindacati dei lavoratori del Palazzo (per il virus ha già perso la vita un’assistente giudiziaria) reclamano giustamente il massimo rispetto delle misure anti-contagio. E il presidente della Corte d’appello Marina Tavassi potrebbe chiedere alla Regione di considerare il Tribunale un “cluster“ (non un focolaio ma quasi) e sottoporre a test sierologico d’immunità tutti gli addetti ai lavori costretti a frequentarlo.  

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